sabato, Maggio 4

NAPOLITANO, BERLUSCONI E MESSINA DENARO ALLE FONDAMENTA DELLA SECONDA PIDUISTA REPUBBLICA

di Redazione

In poco tempo sono giunti alla fine dei loro giorni tre personaggi – Berlusconi, Napolitano e Messina Denaro – fondamentali nella trasformazione della nostra Repubblica democratica, basata sul voto proporzionale puro e i partiti di massa nata dalla lotta di Liberazione dal nazifascismo, a Repubblica reazionaria antidemcratica con il voto maggioritario, controllata dagli USA e dalla NATO, con partiti lobbisti d’imprese e banche d’affari.

Questi tre personaggi assai graditi agli USA e alla NATO, erano tutti membri della massoneria e ognuno ha lavorato per il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Per attuare questo passaggio è servita una strategia stragista di lungo periodo da Piazza Fontana a Milano sino alle stragi di Capaci e via D’Amelio. L’acuirsi del disegno eversivo va in parallelo con la grande avanzata del P.C.I. alle elezioni amministrative del 1975. Con quella vittoria confermata poi con le elezioni politiche del 1976, viene dato inizio a un golpe strisciante che inizia a manifestarsi con il rapimento in via Fani del presidente della Dc, Aldo Moro, il 16 marzo 1978, e la sua uccisione 55 giorni dopo, il 9 maggio a Roma.

Dopo quella morte ne seguirono molte altre, da parte dei killers del sistema imperialista massocapitalista: politici, magistrati, giornalisti, uomini dello Stato. Tutti uomini comunque difensori dei valori costituzionali e di quel cambiamento tanto atteso dalla popolazione italiana in cui la questione morale e la conseguente giustizia sociale avevano visto tante lotte dispiegarsi su tutto il territorio nazionale: dalle fabbriche ai quartieri, dalle scuole, alla Pubblica amministrazione, sino ad arrivare alle lotte dei militari delle nostre Forze armate.

La parola d’ordine era “la classe operaia deve governare”.

Ma per sconfiggere i comunisti non bastavano le stragi e gli omicidi selettivi, serviva un lavoro univoco di tutte le forze massocapitaliste contro gli uomini di Berlinguer e la sua politica e quindi occorreva una trattativa tra la mafia e lo Stato per ricomporre il fronte anticomunista, utilizzando anche agenti del sistema che, dall’interno del partito stesso, rompessero l’unità e le regole del Partito Comunista.

Una delle principali realtà del P.C.I. in cui fu fatto questo lavoro teso a creare correnti che dividessero e paralizzassero la forza derivante dall’unità del Partito, creata dal metodo del centralismo democratico, è stata la Federazione comunista siciliana, dove i miglioristi, la corrente di Giorgio Napolitano, avevano un grande peso.

Vediamo, grazie al libro di Paola Baiocchi e Andrea Montella IPOTESI DI COMPLOTTO? Le coincidenze significative tra le morti e le malattie dei segretari del PCI e l’attuale stato di salute dell’Italia – CARMIGNANI EDITRICE – 2014, come gli amici di Giorgio Napolitano hanno stravolto i rapporti di forza nel P.C.I. tra i proletari siciliani e i piccolo borghesi. Ottenendo nei fatti di favorire la Sicilia di Riina, Provenzano, Messina Denaro e di Andreotti-Lima-Ciancimino prima, e Dell’Utri-Berlusconi dopo, trasformandoli negli interlocutori e fondatori della seconda piduista Repubblica. Quindi tutti coloro che hanno partecipato e pianto Giorgio Napolitano in questi giorni sono i complici palesi di un abile piano eversivo che va sotto il nome di Piano di rinascita della loggia massonica Propaganda 2, che giungerà a termine con le proposte della fascista Meloni sulle riforme costituzionali da introdurre, le stesse previste dal Piano del fascista e massone Licio Gelli, tra cui il presidenzialismo populista made in USA o Francia.

Le basi sociali del golpe
Le aperture di Occhetto sono la cartina al tornasole dell’evoluzione in senso borghese di una componente del partito e, come da sempre accade in questo paese, la Sicilia è il laboratorio dove si sperimentano le modificazioni politiche che poi verranno introdotte a livello nazionale. Preoccupato per la degenerazione in corso, Enrico Berlinguer tentò di porvi rimedio inviando un migliorista “atipico” di indiscussa onestà come il siciliano Pio La Torre.

La Torre viene assassinato il 30 aprile 1982, mentre è in corso il suo sforzo di riparare i guasti che si sono evidenziate all’interno del Partito comunista siciliano: era stato in prima fila nell’organizzare e sostenere le lotte contro le installazioni – dei missili Usa a Comiso, un esplicito tentativo di indebolire
la Nato e rafforzare una politica di pace, in linea con l’articolo 11 della Costituzione. Inoltre aveva voluto fortemente che a Palermo arrivasse come prefetto antimafia il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Fu anche il protagonista della denuncia del ruolo del gran maestro della massoneria Giuseppe Mandalari e dei suoi legami con Cosa nostra. Affrontò a muso duro Salvo Lima e Vito Ciancimino, i due politici della Democrazia cristiana che erano legati al capomafia Bernardo Provenzano.
Indagava sul rapporto esistente tra il traffico di droga fra Sicilia e Stati Uniti, e il conseguente riciclaggio di centinaia di miliardi di lire dell’epoca nelle banche siciliane. Fu promotore in Parlamento della legge per la confisca dei beni dei mafiosi. Una legge approvata solo dopo la sua uccisione.
Un importante contributo per capire che non c’è solo la mafia tra le ragioni della morte di Pio La Torre, viene dal libro Chi ha ucciso Pio La Torre? Omicidio di mafia o politico? La verità sulla morte del più importante dirigente comunista assassinato in Italia, di Paolo Mondani e Armando Sorrentino
– Castelvecchi, 2012, che ha portato alla riapertura delle indagini.
È altrettanto significativo il libro di Lirio Abbate e Peter Gomez, I complici, tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento – Fazi Editore, 2007, da cui estraiamo le pagg. 105–110:
«[…] nel 2001 i PM aprono il processo contro i killer del segretario regionale del PCI, usando parole pesanti. Come pietre.
Dice la Procura: “Mentre l’onorevole La Torre in maniera estremamente efficace e concreta spendeva il suo impegno politico, prima da parlamentare nazionale e componente della Commissione Parlamentare Antimafia, poi a partire dal settembre 1981 quale segretario regionale del PCI, altri numerosi e importanti esponenti politici colludevano con Cosa Nostra oppure con la loro inerzia, anche all’interno dello stesso Partito Comunista, finivano per accettare più o meno consapevolmente il progressivo infiltrarsi del sistema mafioso nei meccanismi della politica e della pubblica amministrazione”.
Dice proprio così la Procura. Parla dei dirigenti del PCI inerti di fronte all’avanzare del sistema mafioso. E ha ragione.
Nel 1981-82 la questione pulizia interna al partito è in cima ai pensieri di La Torre. Il segretario sa di dover affrontare molte questioni scottanti. Vuole capire cosa sta accadendo e far chiarezza.
Non solo a Palermo ma anche nei comuni vicini: Villabate, Bagheria, Termini Imerese, le terre dove Fontana, Castello e i loro amici la fanno da padroni.
Racconta Maria Fais, famiglia di solida tradizione comunista, protagonista del coordinamento antimafia e amica di La Torre: “Pio poneva con forza il problema di fare pulizia negli ambienti delle cooperative agrumicole di Villabate, Ficarazzi e Bagheria appartenenti all’area del PCI che operavano assieme a cooperative di altre aree politiche (democristiane e socialiste) in ordine all’accesso ai contributi AIMA per la distruzione degli agrumi in eccedenza. Alcuni compagni di base del PCI di Ficarazzi, compreso forse il segretario della sezione, gli avevano documentato che una delle suddette cooperative era di Ciaculli ed era formata da uomini del capomafia Michele Greco. Gli stessi compagni di Ficarazzi gli avevano riferito che le cooperative in argomento facevano truffe in danno della CEE mediante il gonfiamento artificioso dei quantitativi di agrumi distrutti e che uno di coloro che dirigeva tale traffico era Antonino Fontana. Nel suo discorso al congresso dell’area metropolitana di Palermo, La Torre aveva duramente attaccato queste realtà. Poi aveva incaricato la commissione provinciale di controllo del partito di sottoporre a inchiesta disciplinare e, se del caso, espellere i dirigenti cooperativistici, oltre a Fontana, Carapezza e Mercante.
Dopo la sua morte ho saputo che le misure disciplinari proposte non sono state attuate”.
Anche altri testimoni, tutti iscritti al PCI, confermano il suo racconto.

Ferdinando Calaciura, il 22 aprile 1989, dice: “In quel periodo – e cioè nel giugno 1981 – il segretario della sezione di Ficarazzi del PCI, tale Ceruso, inviò un memoriale alla federazione provinciale, e a quella regionale e alla commissione nazionale di controllo del partito, accusando di gravi irregolarità alcuni rappresentanti della Lega delle Cooperative (che erano anche funzionari del partito ed esercitavano cariche in seno alle istituzioni) lamentando che la federazione provinciale del PCI avesse prestato copertura a tali irregolarità. I personaggi accusati dal Ceruso erano tali Fontana di Villabate e dintorni, cui il predetto Ceruso faceva carico di una spregiudicatezza nella commercializzazione degli agrumi, con particolare riferimento all’ammasso del prodotto per la sua distruzione e al mancato utilizzo, per la raccolta degli agrumi, dei braccianti che solitamente, nel passato, erano stati adibiti a tale attività […].
Nell’ottobre o novembre 1981, si tenne a Palermo il convegno per la costituzione della zona metropolitana del PCI e a detto convegno partecipò anche Pio La Torre, che ancora non era stato formalmente designato dall’Assemblea regionale del PCI segretario del partito in Sicilia, ma del quale già si sapeva che avrebbe assunto l’incarico. In tale occasione, il La Torre riprese con toni vivaci il problema sollevato dal Ceruso in precedenza, dato che in quell’assemblea, in diversi, avevano affrontato l’argomento.
Anch’io ero presente a quell’assemblea. Il La Torre, indicando nominativamente i personaggi nei cui confronti erano stati avanzati sospetti di irregolarità (il Fontana era noto come Mister Miliardo), sollecitò una incisiva indagine da parte degli organi di controllo del partito e promise che le risultanze di tali indagini sarebbero state rese note e discusse nelle competenti assemblee di partito. Per quel che ne so, il risultato delle indagini della commissione provinciale di controllo fu che i suddetti quattro aderenti al PCI, anziché essere espulsi dalla Lega delle Cooperative e dal partito, furono spostati dal settore agrumicolo ad altro incarico e credo anche in posti di maggior prestigio”.
Su ordine di Giovanni Falcone i carabinieri si mettono alla ricerca degli atti del convegno in cui La Torre aveva affrontato di petto la questione Fontana. Ma è fatica sprecata: il testo del discorso
del segretario assassinato dalla mafia è inspiegabilmente scomparso dall’archivio del PCI siciliano.
Eppure anche il segretario della sezione di Ficarazzi, Vincenzo Ceruso, conferma di aver inviato delle denunce: “Il mio intento era quello di sensibilizzare gli organi centrali e regionali del partito per una esigenza di ‘pulizia’ nell’ambito di tutte le cooperative e al fine di accertare se in effetti i malumori dei
braccianti agricoli avessero un fondamento o meno; in altri termini, chiedevo un intervento degli organi competenti del partito al fine di accertare se anche nell’ambito delle nostre cooperative fossero state commesse delle irregolarità e, in caso affermativo, di adottare i consequenziali provvedimenti nei confronti dei responsabili.
Nell’esposto inviato a Pietro Ingrao e alla direzione regionale del PCI, materialmente predisposto da mio figlio, ma da me elaborato (si era alla fine del 1981 e ai primi del 1982 e io ero cieco), venivano fatti i nomi del Fontana, del Mercante, del Carapezza e dello Spatafora perché costoro erano, all’epoca, i dirigenti delle cooperative facenti capo al nostro partito”.
[…] Nel 1984 il nucleo operativo dei carabinieri lo denuncia “per associazione per delinquere finalizzata al conseguimento di illeciti profitti ai danni della CEE e per truffa aggravata e continuata”. Parte un procedimento penale dal quale Fontana, nel 1989, non uscirà con un’assoluzione, ma solo grazie all’applicazione dell’amnistia.
[…] Ricorda l’avvocato Alfredo Galasso, ex dirigente del PCI e poi tra i fondatori della Rete di Leoluca Orlando: “Anche se nel partito non mi sono mai occupato della gestione di società o di altre strutture economiche, tuttavia mi ero reso conto – almeno a partire dai primi anni Ottanta – che la pratica consociativa si era spinta sino al punto da non contestare i rapporti di affari che alcune strutture economiche, cooperative e non (basti pensare a Tele L’Ora) del partito avevano stretto con personaggi molto vicini al blocco politico-mafioso all’epoca dominante.
Chi per primo aveva posto il problema dell’impossibilità di perpetuare questo sistema era stato sicuramente Pio La Torre, il quale aveva denunziato il pericolo – quantomeno a livello politico – di questa situazione e aveva, per questa ragione, promosso anche una inchiesta interna al partito nei confronti di Fontana, Mercante, Carapezza e di tale Spatafora. Questa inchiesta – svoltasi tra il 1981 e l’aprile 1982 – si era conclusa senza che fossero stati adottati provvedimenti disciplinari contro gli incolpati. I quali, peraltro, dopo la morte di La Torre erano tornati a svolgere ruoli di primo piano all’interno delle strutture economiche del Partito, senza che nessuno ne mettesse più in discussione l’operato. Ricordo, anzi, che nel 1987 – in occasione della preparazione delle liste per le elezioni politiche – la segreteria siciliana del partito aveva proposto anche la candidatura di Fontana, la quale venne esclusa soltanto perché io e Claudio Riolo avevamo proposto ad alcuni dirigenti nazionali, quali l’on. Violante e l’on. La Torre, la opportunità di escluderlo anche in considerazione del fatto che nei suoi confronti era stato instaurato un procedimento penale per truffa alla CEE. In effetti la nostra proposta venne accolta e Fontana non fu candidato”.
Ma se a Roma, a Botteghe Oscure, si fiuta il pericolo lo stesso non accade in Sicilia. Qui gli uomini delle cooperative agricole hanno più di un estimatore. Continua Alfredo Galasso: “All’interno del partito lo schieramento che dava le maggiori garanzie di copertura politica all’operato di queste persone è senz’altro quello al quale facevano capo, tra i più i noti, il sen. Emanuele Macaluso, il sen. Michelangelo Russo, il sen. Domenico Bacchi, l’on. Lino Motta. Un avallo alla politica consociativa perseguita in Sicilia, dopo l’assassinio di La Torre, venne anche dal c.d. ‘patto dei produttori’, un’operazione politica decisa dalla direzione regionale del partito, della quale facevano parte alcuni dei personaggi ora menzionati, che aveva determinato l’apertura del partito alle imprese dei c.d. ‘cavalieri del lavoro catanesi’ e conseguentemente la loro legittimazione alla partecipazione ad alcuni tra gli appalti di opere pubbliche più importanti di quegli anni”.
Si tratta dell’on. Nicola Latorre, impropriamente scritto La Torre nel libro I complici di Peter Gomez e Lirio Abbate.
Il fatto è che il PCI vive una fortissima contraddizione interna.
Da una parte è il partito dell’antimafia, del sostegno ai magistrati e alle forze dell’ordine. Dall’altra aspira a tutti i costi a governare. Ha bisogno di una sponda politica nella Democrazia Cristiana e in Sicilia l’ha trovata negli amici di Giulio Andreotti, ovvero in Salvo Lima, Nino Drago e in una serie di uomini un tempo legati al principale protagonista del sacco di Palermo, l’ex sindaco Vito Ciancimino, nato a Corleone e soprattutto in ottimi rapporti con Provenzano. E non è tutto. I comunisti siciliani, o meglio una parte dei loro dirigenti, sono anche vittime di una grande illusione. Pensano sia possibile ottenere finanziamenti da cooperative e imprese e, al tempo stesso, non subire condizionamenti.
Spiegherà nel 2000 Napoleone Colajanni, personaggio storico del PCI, dal 1960 al 1988 membro del comitato centrale: “I soldi degli appaltatori li ho presi anch’io quando ero segretario della federazione di Palermo. C’erano tre regole: primo, non mettersi una lira in tasca, secondo non dare nulla in cambio, terzo non farsi pescare. Gli imprenditori palermitani ci davano solo gli avanzi per cautelarsi a sinistra: se poi trattavano con la mafia erano affari loro”.
Il denaro ricevuto dagli imprenditori, continua Colajanni, serviva a pagare gli stipendi ai compagni, l’affitto della sede e parte dell’attività del partito. La forma era la sottoscrizione per il ‘Mese della stampa comunista’: “Ci davano i soldi per una sorta di assicurazione a sinistra. E in verità erano molto pochi in confronto a quelli che davano alla DC. Erano proprio avanzi.
Robetta. Ma nessuna compromissione, perché non davamo nulla in cambio”.
In realtà, visto che la pratica oltre che politicamente imbarazzante era anche fuorilegge, rendeva il partito ricattabile e lo esponeva al rischio infiltrazione da parte di Cosa Nostra. E questo è proprio quello che sarebbe accaduto».
I nomi dei dirigenti comunisti nazionali e locali contenuti in questa ricostruzione sono tutti di appartenenti all’area della destra del partito, definita migliorista. Quando Pio La Torre, anche lui di quell’area, verifica le loro pratiche sociali sul territorio, ne prende le distanze e si avvicina alle posizioni di Berlinguer.
L’avanzare della corruzione nel PCI siciliano e non solo preoccupava fortemente Antonio Tatò, responsabile dell’ufficio stampa del PCI e segretario di Berlinguer, che in una relazione del 21/26 ottobre 1981, tratta dal già citato libro Caro Berlinguer, gli scrive (pagg. 220-222):
«Ma ti segnalo anche la necessità di considerare che i comportamenti politici di coloro, come noi comunisti, che vogliono risolvere la questione morale – intesa come corretto rapporto tra distinti ruoli dei partiti, dello Stato, delle istituzioni e delle organizzazioni di massa – non sono coerenti, troppo spesso, con la tua impostazione e con gli obiettivi che vogliamo conseguire. Può sembrare paradossale, ma una questione morale in questo preciso senso politico (e non una questione di moralità) è aperta anche dentro il nostro partito. Troppi compagni, specie nelle amministrazioni locali e nell’affrontare i problemi di queste istituzioni, finiscono per scadere nelle peggiori pratiche tipiche dei partiti governativi, ignorano il metodo democratico e la verifica di massa di certe proposte o scelte, prevaricano con intese fra partiti (leggi: spartizioni) l’autonomia dei Consigli, delle giunte, delle USL, delle aziende pubbliche, degli enti comunali, provinciali, regionali.
E quando scendono o si lasciano trascinare su questo terreno commettono ingiustizie politiche, mortificano professionalità, deludono compagni ed elettori, diventano “uguali agli altri” e, di necessità, restano disarmati di fronte ai ricatti degli altri partiti e vi cadono. Ti dirò a voce ciò che accade qua e là: ma a proposito di autonomia di funzioni e di ruoli, e di ripristino di un pieno e corretto funzionamento della democrazia nella vita politica e sociale, un capitolo doloroso e preoccupante è quello della situazione sindacale. Io non so se riceverai un’informazione “degli organi competenti”, ma in vista del congresso ormai imminente della CGIL, questa informazione chiedi la ed estendila con una riunione di comunisti autorevoli che lavorano nei sindacati, ma destando anche l’attenzione dei congressi regionali su un problema che sta investendo il corpo e l’orientamento della classe operaia e dei lavoratori in forme e con conseguenze, ripeto, preoccupanti».
Tatò non ha dubbi nel ricollegare questo quadro alle carte da poco sequestrate dai magistrati nella villa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi e subito dopo prosegue:
«P2: che fine ha fatto la legge approvata al Senato che mette la loggia eversiva fuori legge e che giace alla Camera, finita chissà dove, mentre i piduisti vengono allegramente perdonati dalle rispettive amministrazioni e rientrano ai loro posti boriosi e arroganti? Sulla P2 c’è stata una crisi di governo: sta avviandosi a una conclusione che è una burla, una beffa. Bisogna reinsorgere
prontamente e a tappeto».
Di fronte al sommarsi delle difficoltà la risposta politica, invece, cominciava a farsi frammentaria: Tatò evidenzia che non c’è un atteggiamento unitario nel partito, con alcune figure che stavano emergendo come veri e propri esponenti di correnti interne, che facevano ostruzionismo e non seguivano le indicazioni della maggioranza del partito, facendo di fatto saltare il centralismo democratico.
A proposito dei tagli imposti dalla legge finanziaria di quell’anno, Tatò così stigmatizzava:
«[…] c’è un orientamento assolutamente non univoco nel partito. I Colajanni, i Peggio, i Borghini, i Chiaromonte criticano a parole ma poi riesumano il vecchio e stracco discorso che “noi comunisti non possiamo essere gli affossatori del bilancio dello Stato” […] e dall’altra parte chi sta a contatto con la gente nelle fabbriche e nei quartieri, i Sindaci, gli amministratori, non sopporta questa linea falsamente responsabile e falsamente realistica e chiede una nostra contro-linea, che consenta di fare quelle spese che servono a cambiare e a migliorare la qualità della vita, chiede delle controproposte, delle contromisure. Il bla-bla-bla demagogico non corregge la condotta pratica ed opportunistica: ma il rischio del Partito è che si spacchi, si areni e si paralizzi proprio lungo queste due linee contrapposte ma entrambe insufficienti e disorientatrici: in una parola, non egemoniche, non di governo, non risolutrici dei problemi reali. […]
Costo del lavoro: anche qui non si capisce bene dove stanno andando i sindacati, quale linea perseguono, a quale risultato puntano, che rispondenza ha questo disegno che hanno in pectore con lo stato d’animo e la volontà delle masse lavoratrici».

Enrico Berlinguer aveva capito chi era Giorgio Napolitano e aveva intenzione di espellerlo dal P.C.I., stava preparando le tesi congressuali per arrivare allo scontro diretto con il massone atlantico della loggia Three Eyes. E avrebbe vinto la battaglia Enrico Berlinguer, se non ci fosse stata quella provvidenziale, per Napolitano, morte a Padova per ictus…? Stessa sorte toccata a Lenin, Gramsci, Stalin, Togliatti, Longo, che sopravvisse ma dovette dimettersi da segretario del P.C.I..

Chissà cosa avrebbe detto la famosa scrittrice di gialli Agatha Christie di tutte quelle identiche morti ai vertici del movimento comunista?

Possiamo concludere che la seconda massonica Repubblica nasce sulla corruzione, le stragi, gli omicidi selettivi, la mafia e che i politici oggi fanno tutti parte della partita, truccata ovviamente.

Ecco perché serve una lotta di LIBERAZIONE 2.0 in Italia ma anche in Europa se vogliamo ritornare ad avere una nazione e un continente democratici.

Rispondi

Scopri di più da l'Unità2

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading