di Redazione

Giugno 1973, il dirigente dell’Alfa di Arese, Michele Mincuzzi, venne “processato” dalle BR e rilasciato con un cartello, fatto da Mario Morettti, recante una stella di Davide. Un chiaro messaggio per il Mossad israeliano su chi stava prendendo il potere nelle Brigate Rosse. Infatti 15 mesi dopo vengono arrestati Alberto Franceschini e Renato Curcio – i capi storici e non sanguinari – delle BR.
In questo terzo capitolo su Israele e il terrorismo scriveremo del ruolo dello Stato ebraico e del Mossad, il suo servizio segreto, con i gerarchi nazisti nel dopoguerra e in seguito con varie formazioni eversive italiane utilizzate per destabilizzare la nascente Prima Repubblica, tanto detestata dagli Usa e dai paesi NATO di cui Israele è membro associato, perché grazie alla sua Costituzione l’Italia era realmente democratica e poteva, applicandola, creare le condizioni sociali e politiche per un’evoluzione in senso socialista. Inoltre in quegli anni in Italia a lavorare per quella trasformazione vi era il più forte, politicamente e elettoralmente, partito comunista occidentale: il P.C.I. di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer, il partito che aveva maggiormente contribuito all’elaborazione della nostra Costituzione.
Il nostro paese ha sempre avuto un ruolo strategico nel Mediterraneo e le maggiori potenze imperialiste come gli Usa, imperiali e coloniali come la Gran Bretagna e la Francia, si erano date da fare per “condizionare” il nostro paese che era fondamentale per controllare sia i commerci che transitavano per il Canale di Suez, sia i pozzi di petrolio del Medioriente.
La nascita d’Israele per i massocapitalisti serviva a far aumentare la loro pressione politica nell’area anche a discapito della politica italiana nel Mediterraneo che, con Enrico Mattei e la sua ENI, stava modificando gli equilibri geopolitici dal Medioriente all’Africa.
Quindi Israele puntava e punta, oggi tramite Giorgia Meloni, a essere l’interlocutore privilegiato dell’imperialismo e degli imperi nel Mediterraneo, per realizzare questo obiettivo doveva operare contro il nostro paese utilizzando ogni mezzo possibile: dai massoni, ai fascisti, ai brigatisti, ai vertici delle comunità ebraiche in Italia, ai preti e alle gerarchie cattoliche e protestanti, insomma tutto l’humus anticomunista presente in Italia.
Questo piano eversivo anticomunista inizia a cavallo tra la seconda guerra mondiale e la liberazione dal nazifascismo.
Per capire meglio queste relazioni con le forze reazionarie presenti in Italia durante il fascismo e dopo ci avvaliamo del contributo di Eric Salerno, giornalista de Il Messaggero nato a New York nel 1939 da un’ebrea russa sfuggita alle guardie bianche zariste e da un comunista calabrese scampato al fascismo rifugiandosi negli Stati Uniti nel 1922 ed espulso nel 1950 dal maccartismo; Eric si è trasferito in Italia a 13 anni e ha lavorato 10 anni per Paese Sera. Nel 1967 passò a Il Messaggero, in qualità di inviato speciale e capo del servizio esteri, interessandosi ai problemi del Terzo Mondo e del Medio Oriente, è stato a lungo corrispondente da Gerusalemme.
Salerno scrive nel suo saggio Mossad base Italia (il Saggiatore, 2010):
«La collaborazione tra fascisti ed ebrei riprese alla fine della guerra. Stati Uniti e Unione Sovietica lottavano per il controllo dell’Europa e l’Italia era considerata uno dei perni più importanti dei grandi disegni egemonici delle superpotenze. Spie e agenti sovietici mobilitavano i comunisti, vecchi e nuovi, mentre gli agenti dell’Oss come Angleton e “giornalisti” come Mike Stern, capitano dell’intelligence americana, che riuscì perfino a intervistare il bandito Salvatore Giuliano, stringevano le alleanze più contorte legandosi ai fascisti, con i quali avevano in comune il crescente odio per i comunisti. Furono gli americani a favorire la nascita del Movimento sociale italiano e, già prima della fine della guerra, Angleton e i suoi avevano preso contatto con esponenti neofascisti e monarchici. Uno dei personaggi chiave del fascismo clandestino di quegli anni era il principe Valerio Pignatelli di Cerchiara, spedito a sud per organizzare i reparti armati dietro le linee degli alleati che avanzavano. Nell’aprile del 1944 sua moglie girò l’Italia meridionale scortata da agenti dell’Oss. Come e perché è una storia lunga. Ora ci interessano collegamenti, alleanze e convergenze.
In quegli anni erano attivi a Roma Emanuele De Seta, nato dal primo breve matrimonio di un’affascinante principessa con un marchese siciliano, e l’agente segreto americano Peter Tompkins, che non vedeva di buon occhio i rapporti stretti tessuti da una parte dell’Oss, quella predominante, con Julio Valerio Borghese. Angleton e i suoi diretti superiori erano convinti assertori e protagonisti di un’alleanza strategica con la Xª Mas e i gruppi clandestini neofascisti costituiti in tutta la penisola per frenare l’avanzata degli alleati. Un sodalizio – come avrebbe successivamente denunciato lo stesso Tompkins – che gettò le basi per Gladio, la milizia segreta anticomunista di cui soltanto negli ultimi anni sono emersi dettagli e collegamenti con i servizi segreti occidentali, e con il Mossad.
Dalle indagini del tribunale di Brescia sui collegamenti fascisti dell’organizzazione è saltato fuori un appunto, risalente al 1972, che fa comprendere chiaramente le alleanze. Il generale Roatta,
“alla fine del 1943 presentò ad alcuni suoi fidati collaboratori un ufficiale, polacco d’origine, che vestiva la divisa dell’Esercito russo e che era giunto al seguito della rappresentanza sovietica presso il governo italiano. Si chiama Otimsky e da pochi anni vive a Tel Aviv. Quando Roatta fu incriminato e poi arrestato, Otimsky prese il comando del servizio che era costituito esclusivamente da elementi provenienti dall’Esercito, dalla Marina e dall’Aviazione. Compito del servizio fu sempre quello di ostacolare l’avanzata delle sinistre e di impedire una sostanziale modifica della situazione politica italiana”.
Chi era Otimsky? Le sue tracce si sono perse, ma resta il sospetto che, dopo aver lasciato l’Italia, abbia assunto un ruolo chiave nel Mossad. Le sue conoscenze, i suoi collegamenti, le sue amicizie erano un patrimonio troppo prezioso perché si potessero abbandonare e dimenticare.
Ma torniamo a Junio Valerio Borghese, capo dell’unità di forze speciali rimasto a combattere per la Repubblica di Salò, messo in salvo dallo stesso agente dell’Oss Angleton che lo andò a prendere a Milano. Ci sono voluti molti anni per mettere ordine e comprendere i complessi giochi di quel Dopoguerra italiano. Gli alleati, che avevano combattuto insieme contro la Germania nazista e l’Italia fascista, erano ormai divorziati. Si formavano nuove alleanze, talvolta ideologiche, spesso di convenienza. Un gioco che i leader ebrei della Palestina sapevano ben sfruttare. Socialisti e comunisti cercarono e ottennero aiuti da Mosca e dai suoi “satelliti”, mentre in Italia avevano come punto di riferimento molti ex partigiani. I seguaci di Jabotinsky, rimasti nell’Irgun, ripresero i loro contatti con i fascisti; quelli che si erano staccati dall’Irgun per creare la banda Stern, forse per differenziarsi, si appoggiarono a Mosca. Ad Ada Sereni, alle prese con il compito enorme di trasferire i profughi in Palestina superando il blocco britannico e convogliare ai combattenti sionisti armi e munizioni, non interessava se chi aiutava veniva da sinistra o dalle formazioni militari dell’Italia fascista. Non c’era tempo di pensare alle leggi razziali appena superate, agli ebrei italiani deportati con l’aiuto dei fascisti, ai crimini dei marò della Xª Mas. L’importante era avere degli alleati. E il vecchio adagio “il nemico del mio nemico è il mio amico” funzionava alla perfezione.
D’altronde tutti andavano a caccia di vecchi nemici da utilizzare nelle future guerre. La joint venture tra l’Irgun e il fascista Romualdi che, per sua ammissione, fornì l’esplosivo usato dai terroristi ebrei della Palestina per devastare l’Ambasciata britannica a Roma, rientrava in quella logica. Ma i giochi erano anche più complessi e più vasti. E anche se oggi gli archivi sono stati ripuliti e molte storie sepolte, l’Italia e la Città del Vaticano sono stati per anni nel cuore delle operazioni del Mossad – come di altri servizi segreti – a caccia di vecchi criminali di guerra nazisti “da riciclare”. Alcune storie e alleanze appaiono grottesche. Altre impongono riflessioni di carattere morale. I protagonisti, almeno quelli principali, sono ormai morti. Chi è rimasto parla poco, conferma o smentisce le “rivelazioni” dei ricercatori , o si limita a dire, come Mike Harari, che “è tutto impossibile”. I ripensamenti, l’autocritica, le nuove verità sono difficili da accettare per chi ha combattuto per una causa.
Abbiamo visto Walter Rauff (colui che sviluppo i furgoni camere a gas mobili,n.d.r unita2.org), nazista al servizio del Mossad, al lavoro nei paesi arabi. Nei primi anni sessanta fu un suo collega, un fedelissimo del Führer, a collaborare con Israele. Il maggiore Otto Skorzeny, uno degli eroi della Wehrmacht hitleriana, divenne agente del Mossad per dimostrare al mondo che lui non era un criminale di guerra. L’ex capo del Mossad Meir Amit, in carica dal 1963 al 1968, ha rivelato che Skorzeny non volle denaro, ma soltanto che le sue memorie venissero tradotte in ebraico e vendute in Israele.
“Per una volta le accuse di Miles Copeland [uomo d’affari americano ed ex agente della Cia, N.d.R.] fatte a Israele, di essere ipocrita quando si scaglia contro chiunque tenga contatti con ex nazisti, si sono rivelate corrette. Israele li condannava a parole, ma non si è tirato indietro nell’utilizzarli. Lo prova la vicenda Skorzeny” commenta Yossi Melman, giornalista del quotidiano Haaretz, esperto di intelligence. Il caso Skorzeny ha anche un noto capitolo italiano. Nel luglio 1943 l’ufficiale è nominato da Hitler capitano delle truppe speciali per la liberazione dell’“amico Mussolini”, imprigionato a Campo Imperatore sulle pendici del Gran Sasso. L’operazione, dopo avventurose indagini tedesche e inutili sotterfugi e depistaggi italiani, si conclude il 12 settembre 1943 con la liberazione del Duce. Skorzeny è un militare ambizioso, a cui Hitler continua ad affidare missioni delicate. Nonostante il suo diretto coinvolgimento in molte operazioni tedesche, nel 1947, a conclusione del processo per crimini di guerra, viene assolto. Nell’estate 1948 lascia l’Austria per la Spagna nel tentativo di fare perdere le proprie tracce. Si stabilisce a Madrid, cambia identità e si fa chiamare Robert Steinhauer. La moglie apre un’agenzia immobiliare, ma lui non si allontana dalla sua vocazione: nei primi anni cinquanta entra nel commercio di armi e inizia a collaborare con alcuni servizi segreti; in questa veste bussano alla sua porta gli uomini del Mossad. Nel 1956, Gamal Nasser, leader egiziano, vuole rimodernare il suo esercito: ricorre a scienziati tedeschi per costruire innovative fabbriche di motori di aeroplani e missili. La risposta d’Israele è l’operazione Damocle con cui s’intende colpire tutti gli scienziati coinvolti. Il Mossad recluta alcuni ex terroristi ebrei della banda Stern, tra loro anche Itzhak Shamir, futuro premier del governo conservatore. Skorzeny affianca gli uomini del Mossad, a lui il compito di avvicinare un certo “Valentino”, responsabile della sicurezza degli scienziati tedeschi. L’operazione si concluderà quando gli agenti israeliani, corrotto il capo dell’intelligence egiziana Mahmud Khalil, sveleranno l’inconsistenza del piano di Nasser. Era inutile preoccuparsi. Se la collaborazione tra i membri del Mossad e Skorzeny non si rivela indispensabile a sventare il piano del presidente egiziano, dieci anni prima un’altra alleanza strategica forgiata in Italia aveva reso un enorme servizio a Israele.»
Come abbiamo letto, dalle pagine di Eric Salerno, i sionisti sin dalle origini dello Stato israeliano, con i reazionari della peggior specie si trovavano a loro agio… avendo nell’anticomunismo il comune collante ideologico.
Veniamo adesso a parlare di terrorismo nostrano in tempi relativamente più recenti, in un periodo fondamentale per devastare l’Italia della Prima Repubblica e per far diventare Israele il controllore dell’area del Mediterraneo. Parleremo per bocca dello storico capo delle Brigate Rosse, Alberto Franceschini, intervistato da Giovanni Fasanella, che nel libro Che cosa sono le Br – Le radici, la nascita, la storia, il presente. Chi erano veramente i brigatisti e perché continuano a uccidere. Una nuova testimonianza del fondatore delle Brigate rosse (BUR Rizzoli, 2018):
«In fondo a pensarci bene, era così anche con Feltrinelli, visto che gli avevate delegato tutto, e lui non aveva nessun obbligo di riferire a voi. Non è possibile che qualcun altro, magari a vostra insaputa, stesse cercando di sostituirsi a Feltrinelli per, diciamo così, allargare un po’ l’orizzonte?
In effetti, qualcosa accadde. E ancora una volta dobbiamo seguire Moretti, con le sue stranezze, per capire. Nel giugno 1973, decidiamo di sequestrare Michele Mincuzzi, dirigente del personale all’Alfa di Arese. Io in quell’operazione ho un ruolo secondario, organizza e gestisce tutto Moretti. Lo prende, lo carica sul furgone, lo porta fuori città e lo fotografa con un cartello al collo. La foto viene pubblicata dal “Corriere della Sera”. La guardiamo e ci accorgiamo che il simbolo delle Br disegnato sul cartello non è una stella a cinque punte, ma a sei. Tutti i giornali sottolineavano l’anomalia di un’azione brigatista firmata con la stella di Davide, simbolo dello Stato d’Israele. Chiamiamo Moretti e gli diciamo “Ma sei deficiente? Sei con noi da due anni, hai disegnato mille volte il simbolo Br!”. Ancora una volta, la sua risposta disarma: “E che volete, mi sono sbagliato”.
Un’altra possibile spiegazione, che non sia la solita dell’errore?
Noi allora pensammo che Moretti fosse un po’ distratto. Oppure che, commettendo quell’errore, aveva voluto mandare un messaggio a qualcuno. Che cos’altro dovevamo pensare? Molti anni dopo, un ufficiale dei carabinieri che ha speso la sua vita a indagare sul terrorismo, mi ha detto: “Moretti voleva mandare un messaggio agli israeliani: guardate cosa sono in grado di fare, comando io”.
Se fosse stato un messaggio, ci sarebbe stata una risposta.
E una risposta ci fu. In quel momento noi eravamo forti, avevamo radicato la nostra rete e avevamo compiuto una serie di operazioni importanti. Ma dal punto di vista delle relazioni internazionali – devo sottolinearlo ancora una volta – dopo la morte di Feltrinelli non avevamo più nessun contatto, avevamo perso tutto, anche i rapporti con la Raf tedesca. Alcuni mesi dopo, nel dicembre 1973, durante il sequestro di Ettore Amerio, direttore del personale Fiat, venimmo contattati dai Servizi israeliani, interessati ad allacciare un rapporto con noi.
In che modo veniste contattati, attraverso quale canale?
Attraverso il giro di “Controinformazione”, il giornale che ci fiancheggiava. In particolare tramite un compagno dell’università di Trento, Aldo Bonomi (°), il sociologo, che lavorava in redazione. Disse ad Antonio Bellavita, direttore del giornale, che i Servizi segreti israeliani volevano un contatto con noi. E Bellavita girò a noi il messaggio. Noi lo prendemmo subito sul serio, perché Aldo era noto che sapeva molte cose interessanti e in passato ci aveva trasmesso informazioni preziose.
Che genere di informazioni?
Nel 1972, ci aveva fornito le fotografie di una manifestazione promossa per il 25 aprile dai Centri di resistenza democratica di Edgardo Sogno e della Federazione volontari della libertà, di cui Sogno era vice presidente (presidente era Paolo Emilio Taviani), a cui aveva partecipato anche Carlo Fumagalli. Noi, Fumagalli, allora non sapevamo nemmeno chi fosse: Bonomi, indicandocelo nelle fotografie, ci fece capire che era un personaggio importantissimo, da tenere d’occhio. E poi ci aveva dato informazioni anche su Pisetta, dicendoci dove avremmo potuto rintracciarlo.
Qual era la fonte di Bonomi?
Prima di venire da noi, Bonomi era anarchico. Nel maggio 1973, Gianfranco Bertoli, anarchico o sedicente tale, aveva compiuto l’attentato alla Questura di Milano. Ed era saltato fuori che, un paio di anni prima, Bonomi aveva aiutato Bertoli, ricercato per un altro reato, facendolo espatriare in Israele. Vennero a raccontarcelo i suoi ex compagni. Siccome nelle Br Bonomi faceva parte del mio settore, la “controrivoluzione”, io lo chiamai e gli feci questo discorso: “Guarda che gli anarchici ci raccontano delle brutte storie sul tuo conto. Tu che hai da dire?” E lui mi rispose: “Io vivo di informazioni. Però, siccome sono un compagno, a voi le do gratis”. Dopo quell’episodio, io non lo incontrai più, perché non sapevamo bene come valutarlo. Però lui rimase nella redazione di “Controinformazione”.
Torniamo agli israeliani: qual era esattamente il loro messaggio?
In realtà furono due, i contatti. La prima volta Bellavita ci disse semplicemente che gli israeliani erano interessati a prendere un contatto con le Br. Noi rifiutammo. La seconda volta, il messaggio affidato a Bellavita tramite Bonomi, era questo: non vogliamo dirvi che cosa fare, a noi interessa solo che voi esistiate, e noi vi diamo armi e danaro. Per dimostrare che facevano sul serio, gli israeliani ci avevano dato i nomi di tre operai che stavano per infiltrarsi nelle Br. Erano tre operai della Fiat Rivalta. Ed era vero che stavano per infiltrarsi. Ma, all’offerta, rispondemmo nuovamente di no.
Avete mai scoperto chi aveva affidato quel messaggio a Bonomi? Se si trattava di una fonte diretta dei Servizi israeliani o se, invece, era arrivato attraverso canali indiretti?
Questo non lo so. Bellavita però ci disse che, nel caso in cui avessimo accettato, il canale per l’incontro sarebbe stato un medico milanese.
E lei sa chi era quel medico?
Per qualche tempo ho pensato anche al padre di Duccio Berio. Poi, negli atti del giudice istruttore di Milano Antonio Lombardi sull’attentato alla Questura di Milano, ho scoperto che Bonomi aveva un rapporto molto stretto con Rolando Bevilacqua, medico di Sovico, paesino vicino Milano, agente confesso del Mossad in Italia (*). Per cui sono portato a pensare che questi fosse anche il canale che avrebbe dovuto metterci in contatto con il Mossad. Ma Bevilacqua, purtroppo, è morto alcuni anni fa.
(*) Il Bevilacqua raccontava alcuni dettagli del suo passato. Aveva fatto parte da giovane durante la guerra di un gruppo di resistenza contro i tedeschi nella zona dell’Appennino e aveva più volte soccorso in quel periodo ebrei in difficoltà aiutando molti di essi a passare le linee. Quando fu creato lo Stato d’Israele il 5 maggio 1948, alcuni agenti del Mossad presero contatti con lui che svolse per essi attività informativa […]. Intorno al 1969 un colonnello dei carabinieri di Sondrio gli chiese di svolgere attività informativa anche per il Sid e cominciò a frequentare costui nella caserma di Sondrio […]. Tra i compiti affidatigli ci fu quello di infiltrarsi tra gli anarchici e fornire notizie sulla loro attività. Egli riuscì a farlo e scrisse articoli per le riviste “Umanità” ed “Internazionale”; frequentava il circolo Sacco e Vanzetti di Milano e partecipò anche a un congresso anarchico europeo. Naturalmente sugli sviluppi della vicenda Magri alias Bertoli e sui movimenti del Bonomi egli informava giorno per giorno il colonnello di Sondrio. Quando ci fu la strage del 17.05.1973 grande fu la sua preoccupazione (e quella della moglie) dopo aver riconosciuto nel Bertoli l’individuo ospitato nel dicembre 1970».
Ora per capire di più dobbiamo ritornare alle pagine del libro di Eric Salerno Mossad base Italia in cui a pagina 197 e seguenti afferma:
«Il Mossad come parte della strategia della tensione? Non ci sono le prove, ma in mancanza di certezze vale la pena leggere qualche brano dalla sentenza scritta dal magistrato Ferdinando Imposimato contro Renato Arreni, nell’inchiesta per l’assassinio di Moro.
“Occorreprendere atto del fatto che i servizi segreti israeliani ebbero una perfetta conoscenza del fenomeno eversivo italiano fin dal suo sorgere, inserendosi in esso con una continua azione di sostegno ideologico e materiale. […] In effetti fin da allora risultò che terroristi mediorientali legati ad Arafat e Mossad avevano deciso di trasferire in Italia il conflitto del Medio Oriente”.
E ancora, le motivazioni:
“I servizi segreti israeliani, operando in Italia ininterrottamente almeno fino al 1976-1977, furono mossi dal fine di destabilizzazione politica e sociale in Italia (come avevano sperimentato proficuamente in altri paesi mediorientali quali il Libano, la Giordania e l’Egitto) al fine di indurre l’America a vedere Israele come l’unico punto di riferimento alleato nel Mediterraneo per averne in tal modo maggiore sostegno in termini politici e militari”.
Si è indagato poco su presunte alleanze, in quegli anni di piombo, tra i servizi segreti israeliani e i neofascisti di Ordine Nuovo. E sulla figura di Gianfranco Bertoli, autore dell’attentato alla Questura di Milano nel maggio 1973, e del suo lungo soggiorno in Israele. L’uomo era ricercato dalla giustizia italiana, era un collaboratore del Sid. Da Marsiglia riuscì a viaggiare e raggiungere Haifa, in Israele, dove arrivò il 26 febbraio 1971 con un passaporto falso che, grazie apparentemente ai contatti Sid-Mossad, passò inosservato ai controlli di sicurezza, e venne inviato al kibbutz di Karmia. Nei quasi quindici mesi di permanenza in Israele Bertoli, considerato un uomo di Gladio secondo le indagini successive all’attentato alla Questura, si allontanò almeno quattro volte per venire brevemente anche in Italia. Non si è mai saputo molto della sua permanenza in Israele, se non che nel kibbutz ha dato ospitalità a due neofascisti francesi di Jeune Révolution.
Questo, dei rapporti mai chiariti tra i servizi segreti israeliani e le organizzazioni politiche ed eversive italiane, è un dossier immenso, pieno di interrogativi più che di risposte. Di frequentazioni a dir poco ambigue. Se nella Roma di allora ci fossero state tante telecamere a circuito chiuso come oggi, sarebbe stato possibile filmare chi si incontrava all’Excelsior, l’albergo preferito da Licio Gelli per uno spuntino con il super poliziotto e mentore Umberto D’Amato, che subito dopo la guerra aveva stabilito il suo quartier generale nella vicina via Sicilia. O all’Eden di via Ludovisi, frequentato dal futuro capo della polizia Vincenzo Parisi. Oppure al Bernini di piazza Barberini, proprio due passi dal cuore dei servizi segreti militari in via XX Settembre, altro luogo comodo e distinto di fronte all’ufficio di quell’agente dei servizi segreti, suicidato perché sapeva troppo di molte ingarbugliate complicità internazionali».
Chi era l’agente segreto suicidato di cui parla Eric Salerno e che era a conoscenza di molte malefatte e dei rapporti tra i servizi segreti israeliani e le organizzazioni eversive italiane? Nel 1967, vengono alla luce i retroscena che hanno contrassegnato gli eventi del giugno-luglio 1964 e il “Piano Solo”. Un piano eversivo, messo in essere dal generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo e dal SIFAR, teso ad ostacolare lo spostamento a sinistra del governo che apriva ai socialisti. Il colonnello Renzo Rocca ha il compito di redigere rapporti segreti per il presidente Segni e per altri uomini di governo, Taviani e Andreotti.
Grazie all’opposizione comunista in Parlamento e alla pressione dei media, in particolare de l’Espresso, il governo fu costretto a formare una Commissione d’inchiesta parlamentare. Il colonnello Rocca è convocato a riferire. Non fu mai in grado di farlo: il 27 giugno 1968 fu trovato esanime nel suo ufficio romano di via Barberini, secondo le indagini ufficiali per suicidio.
Analizzando tempi più recenti si scoprono relazioni sempre più pericolose tra alcuni politici come il fascista Gianni Alemanno e intellettuali dediti alla “rivoluzione” nichilista come l’antimarxista Antonio Negri (detto Toni) e Israele.
LA STAMPA
12-07–2007
QUEST’ESTATE VADO IN UN KIBBUTZ
FRANCESCA PACI – CORRISPONDENTE DA GERUSALEMME
Che cosa unisce il leader della destra sociale Gianni Alemanno a Toni Negri (°°), «cattivo maestro» dell’Autonomia operaia, filosofo marxista, intellettuale radical e provocatorio apprezzato in Francia e negli Stati Uniti? La storia li divide ma li accomuna la passione trasversale per i kibbutzim, le cooperative agricole autogestite che hanno tenuto a battesimo lo Stato d’Israele e oggi rappresentano il tre per cento della popolazione.
L’ex ministro dell’agricoltura di Alleanza Nazionale se n’è invaghito due anni fa durante una visita ufficiale in Terra Santa («la ricerca dell’identità, il rapporto con il territorio e il rispetto delle origini erano già patrimonio dei movimenti di destra degli anni Settanta»): a ottobre tornerà con una decina dei suoi ragazzi per uno scambio culturale promosso dalla fondazione Nuova Italia.
Per l’autore di «Empire» invece, si tratta di un vecchio amore: «Sono diventato comunista in Israele nel kibbutz Nahshonim, vicino Petah Tikva», ha raccontato Toni Negri la settimana scorsa, ospite dell’Istituto Spinoza di Gerusalemme. Al tempo aveva vent’anni, studiava «Il Capitale», la rivoluzione era la cifra del mondo: molte cose sono cambiate da allora ma non il piacere di trascorrere una settimana in kibbutz.
Mentre la gauche israeliana, dall’ex presidente del parlamento Avrahm Burg al fondatore di «Peace Now» Dror Etkes, celebra il requiem del sionismo socialista del secolo scorso, le ali estreme della politica italiana scoprono o riscoprono l’esperienza pionieristica e comunitaria dei padri fondatori d’Israele.
Nessuno dei duecentosettanta kibbutzim disseminati nel Paese è più «l’impresa sociale basata sull’economia redistributiva» dell’ideale collettivista che lo animava ieri. La proprietà privata è un tabù ormai superato: l’ultima a capitolare in ordine di tempo è stata la cooperativa di Ha’on, sul lago di Tiberiade, venduta un paio di giorni fa a un esterno per essere trasformata in un residence.
Eppure, ogni anno, soprattutto d’estate, dai sei ai diecimila giovani italiani, europei, americani, australiani, sognatori oppure no, vengono a lavorare in kibbutz per qualche mese. Ci sono anche «volontari» più maturi, che di solito si fermano un po’ meno. La tensione della Seconda Intifada aveva ridotto notevolmente la richiesta, ma dal 2005 il flusso è ripreso a pieno ritmo e le prenotazioni superano di gran lunga la disponibilità.
Che cosa trovano gli stranieri nel kibbutz che non seduce più come un tempo gli israeliani?
L’esperienza della vita in comune non basta a spiegare una lista di ospiti che comprende migliaia di diciottenni adrenalinici, politici di destra e di sinistra orfani d’ideali, ma anche attrici note come Debra Winger e Sigourney Weaver, il cantante Simon Le Bon dei Duran Duran, il comico americano Jerry Seinfeld. Nei kibbutzim di oggi c’è di tutto. Vacanze alternative da otto ore di lavoro al giorno in serra, relax in piscina, sofisticati centri di bellezza, seminari d’utopia. Con 700 schekel, circa 130 euro, si vive una settimana in bed&breakfast a Ha Nasi nel Golan, le alture siriane occupate da Israele dopo la guerra del ‘67: passeggiate tra boschi e antiche rovine, degustazioni di vino Yarden e la vertigine di esplorare una terra che già domani potrebbe essere altra, ridefinita da confini diversi, moneta di scambio per la pace con Damasco.
Sempre a nord, nella Galilea occidentale, a pochi chilometri dalla frontiera libanese, c’è la comunità agricola di Mitzpe Hilla, dove Noam Shalil e la moglie gestiscono un piccolo agriturismo in attesa che Hamas rilasci il figlio, il soldato Gilad, rapito a Gaza oltre un anno fa.
A Mizra invece, una comunità di duecento famiglie tra Nazareth e Afula, una delle prime insediate negli anni Venti, s’incontra una delle mille contraddizioni d’Israele: accanto ai vialetti da campus americano, le biciclette, la spa, la mensa a base dei prodotti coltivati in loco, c’è un’enorme fattoria di maiali e un supermercato specializzato in salami suini, bacon, costarelle e bistecche non kosher, per un totale di 150 tonnellate di carne al mese.
Una sfida alla volontà rabbinica? Tutt’altro. Nel pieno rispetto delle regole gastronomiche della Torah il kibbutz Mizra alleva i maiali su una piattaforma di legno in modo che non tocchino il suolo ebraico e non violino la legge nazionale.
Lavorativa o rilassante che sia, il boom della vacanza in kibbutz risponde più al desiderio di una parentesi di nostalgia che a un trend modaiolo.
Per gli stranieri che arrivano – Gianni Alemanno, Toni Negri, uno studente idealista e spiantato o Debra Winger – come per gli israeliani che li ospitano, fingendo d’essere i pionieri di un secolo fa, lontani dai muri e dai conflitti permanenti. C’è un sito internet in inglese (www.kibbutzreloaded.com) dove chi si è incontrato lì, nella comunità agricola, può ritrovarsi a distanza. Perché tutti in kibbutz condividono l’esperienza e si chiamano per nome quasi che la semplicità fosse naturale. Poi, al termine del soggiorno, una settimana o due anni, svaniscono nella memoria, come qualcosa perduto molto tempo prima.
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Serve alla fine di questo lavoro porsi la domanda: siamo un popolo sovrano oppure no? La risposta la troviamo guardando con la giusta attenzione e preoccupazione l’immagine della cartina del nostro paese, riportata nel libro di Eric Salerno, in cui sono indicate le località in cui si trovano le 21 basi operative del Mossad in Italia.

Fine
(°) Aldo Bonomi: https://unita2.org/2022/10/28/aldo-bonomi-un-reazionario-a-tempo-pieno/
(°°) Toni Negri: https://unita2.org/2022/10/21/toni-negri-potere-operaio-lotta-continua-superclan-brigate-rosse/