
di Paola Baiocchi
L’orda, l’invasione, la difesa dei confini. Titoli come se fossimo in guerra, attaccati da un esercito nemico. La gestione dei flussi migratori assume toni sempre più aggressivi, disumanizzanti, bellici e sempre più lontani da quanto servirebbe per non far morire la gente in mare, nel Sahara o nei lager libici.
Ma è chiaro che dietro c’è l’obiettivo razzistico di creare la mentalità del nemico alle porte, necessaria per guerre future, e c’è il business miliardario della detenzione privata, piuttosto che l’integrazione.
Il mantra è rimpatriare, rimpatriare, rimpatriare, con un’unica modalità: l’aumento degli investimenti e la privatizzazione di quella che è una detenzione informale o de facto, in cui le persone sono detenute al di fuori del quadro giuridico o attraverso una distorsione delle disposizioni legali esistenti, per periodi fino 18 mesi e con lo scopo di deportarle il più velocemente possibile in un altro paese o dall’altra parte del confine.
Gli appalti per la gestione dei Centri per il rimpatrio (CPR) costano 56 milioni di euro in tre anni, per il periodo 2021-2023, e vedono l’entrata in campo delle multinazionali che già si occupano di carceri. Nei costi però sono esclusi la manutenzione delle strutture e il personale di polizia. Insomma cifre esorbitanti per creare luoghi “extraterritoriali” in cui sono negati i diritti garantiti dalla nostra Costituzione e in cui le condizioni di detenzione sono addirittura peggiori di quelle degli istituti penitenziari. Ne parla il documentato dossier L’Affar€ CPR https://wp-buchineri.cild.eu/wp-content/uploads/2023/06/ReportCPR_2023_2rev.pdf
Una storia non nuova in Italia, quella della detenzione amministrativa delle persone migranti, un altro “regalo” del peggiore Giorgio Napolitano con la famigerata legge Turco-Napolitano” (legge n.40/1998), che per la prima volta istituì quelli che si chiamavano CPTA, Centri di permanenza temporanea e di assistenza.