mercoledì, Settembre 27

COME DIMINUIRE LA POVERTA’ IN ITALIA? TAROCCANDO I DATI DELL’INPS E RIMPICCIOLENDO LE CONFEZIONI

di Redazione

Un’altra tecnica per taroccare i dati e nascondere l’aumento dei prezzi è ridurre le confezioni dei prodotti, come si vede nel video https://www.youtube.com/shorts/B0EUC8zglec

Come fare a dimostrare a quegli increduli e ingrati italiani che si lamentano perché non riescono ad arrivare alla fine del mese – pur lavorando – che invece le cose non sono mai andate così bene in Italia come da quando c’è il governo Meloni? E’ semplice, basta “taroccare” i dati dell’Inps.

L’Istituto nazionale di previdenza sociale ha appena pubblicato il suo XXII rapporto annuale, firmato per la prima volta dalla commissaria straordinaria Micaela Gelera, scelta dal governo dopo aver riformato per decreto la struttura di vertice dell’istituto e messo alla porta il presidente Pasquale Tridico, evidentemente non abbastanza disponibile a piegare i dati ai voleri dell’esecutivo.

Nel XXII report scopriamo che i working poors, cioè le persone che pur lavorando sono povere, definiti come i lavoratori con retribuzione inferiore al 60% del valore mediano, sono soltanto 871.800 in tutto il Paese e quelli indigenti solo per colpa di paghe da fame (e non perché lavorano per poche ore) si fermano a 20mila, “una componente marginale”. Risultati ottenuti con un calcolo statistico fatto apposta per sostenere la tesi del governo Meloni: che il reddito di cittadinanza non serve e nemmeno alzare i salari è appropriato.

In primo luogo l’Inps analizza i propri dati amministrativi sulle retribuzioni dei dipendenti delle imprese private, escludendo però i lavoratori domestici e quelli agricoli. Poi seleziona quelli con retribuzioni sotto il 60% della mediana, cioè con un lordo giornaliero di 48,30 euro, che vuol dire circa 6 euro l’ora. Ma questo dato è valutato solo per il mese di ottobre 2022, non per ll’intero anno.

In questo modo l’Inps non prende in considerazione tutti quelli che lavorano poche settimane o pochi mesi all’anno, che sono proprio quelli a maggior rischio di povertà. Vuol dire che vengono esclusi dal calcolo gli stagionali che lavorano solo d’estate o durante le feste di fine anno.

E’ attraverso questa selezione che l’Istituto guidato da Micaela Gelera arriva a individuare solo 871.800 lavoratori poveri, “il 6,3% della platea di riferimento”: 517mila tra i full time e 354mila tra i part time, stando alla tabella di pagina 99. Segue un’ulteriore disamina mirata a dimostrare come solo una minuscola parte sia povera esclusivamente per colpa dei bassi salari e non, invece, perché ha un contratto intermittente (quindi a bassa intensità di lavoro) o di apprendistato oppure perché si trova in cassa integrazione, in malattia o fa orario ridotto per l’allattamento.

Insomma di scrematura in scrematura i lavoratori poveri con un contratto a tempo pieno e poveri per ragioni strettamente legate al salario sarebbero solo 20.300 persone, “lo 0,2% sul totale della platea dipendenti”. Insomma, “una componente marginale dell’insieme del lavoro dipendente” afferma il report dell’Inps.

Il diavolo però sta nei dettagli, perché il rapporto pur essendo smaccatamente filogovernativo, si lascia scappare che si tratta di lavoratori “distribuiti tra un numero rilevante di Ccnl, inclusi quelli con le platee più vaste e firmati dalle organizzazioni sindacali maggiori”. Al primo posto quello delle agenzie di somministrazione con Assolavoro (associazione di categoria delle Agenzie per il lavoro) che tratta e firma contratti con sindacatii confederali, seguito dal diffusissimo contratto del terziario e servizi siglato da Confcommercio e da quello della logistica e trasporto merci.

Quindi l’Inps smentisce quello che dicono Giorgia Meloni e la ministra del Lavoro Marina Calderone, secondo le quali il salario minimo in Italia non serve perché la forte contrattazione collettiva tutela a sufficienza i lavoratori. In realtà i lavoratori non sono affatto tutelati dagli attuali sindacati che, senza un forte partito comunista di riferimento e presente nei sindacati con i suoi militanti, non portano avanti nemmeno le richieste minime di adeguare i salari all’inflazione.

Per ironia della sorte, fa notare il Fatto Quotidiano del 14 settembre “quella leggenda è già stata involontariamente smentita due mesi fa da uno studio della Fondazione dei consulenti del lavoro, emanazione dell’ordine presieduto per 18 anni dalla ministra Calderone alla cui guida ora c’è il marito Rosario De Luca. Il documento voleva dimostrare l’inutilità di un minimo orario fissato per legge, ma dalle tabelle emergeva che oltre un terzo dei 61 principali Ccnl firmati da Cgil, Cisl e Uil ha minimi retributivi ben sotto i 9 euro all’ora“.

Il pdf del XXII rapporto annuale dell’inps


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