
di Redazione
A 16 anni dal rogo della ThyssenKrupp di Torino, che vide la morte di sette operai, entrai carcere in Germania l’allora amministratore delegato, Harald Espenhahn, dopo essere fuggito per 16 anni alla pena inflitta dal Tribunale di Torino per l’incendio dell’acciaieria. Nel rogo divampato il 6 dicembre del 2007 morirono sette lavoratori: Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodino’ e Giuseppe Demasi.
Sono passati 5.726 giorni dalla strage e una lunga vicenda processuale, che si è conclusa nel 2016 con la sentenza della Cassazione e la condanna per omicidio colposo plurimo, incendio colposo e omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, comminata a sei dirigenti della ThyssenKrupp. Sino a ora il manager Espenhahn era sempre sfuggito in vari modi all’arresto, ora è stato arrestato nel suo Paese, dove gli è stato commutato l’esito della sentenza italiana di nove anni e otto mesi di carcere in una condanna a cinque anni di reclusione in Germania, come prevedono i limiti tedeschi alle pene.
Ha commentato Antonio Boccuzzi, l’operaio scampato alla strage del 6 dicembre 2007: “Non è un risarcimento, non è vendetta. È solamente l’unico epilogo che si sarebbe già dovuto compiere da tempo e che è stato solo rimandato. Quei 5 anni saranno ulteriormente ridimensionati. Lo sappiamo e non ci facciamo strane o vane illusioni, ma un passo è stato compiuto e questo non ce lo porta via nessuno”. E’ intervenuta anche Rosina Platì, madre dell’operaio Giuseppe Demasi, morto nel rogo: “Ci è arrivata la notizia che anche Espenhahn è finalmente in carcere ma sconterà la pena in semilibertà, andando solo a dormire in carcere. Non siamo contenti. Mettiamo la parola fine a questa sentenza che non ci soddisfa per niente”.
I manager, accusati di omicidio colposo e incendio doloso per negligenza, avevano presentato ricorso. La Corte costituzionale tedesca ha stabilito a maggio che il ricorso non fosse accettabile contro le modalità del processo in Italia e che, inoltre, la colpevolezza del manager fosse evidente. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado, la Corte d’assise di Torino scrisse che Espenhahn “conosceva i rischi, ma azzerò la prevenzione e la sicurezza”. Una scelta “sciagurata”, ma consapevole.