domenica, Maggio 28

CREDIT SUISSE: quanto ci costa salvare le banche private. E perché potremmo non riuscirci

*i pipponi del Marrucci*

Credit Suisse: quanto ci costa salvare le banche private. e perché potremmo non riuscirci

“Credit Suisse vola a zurigo”, titola il sole 24 ore

dopo lo spettacolare crollo di ieri, col titolo dell’istituto svizzero che è arrivato a metà giornata a perdere quasi il 30% per chiudere poi a -24,2%, portandosi dietro tutti i titoli bancari europei, oggi è arrivato il tanto sperato rimbalzo, con il titolo che al momento in cui registriamo questo video segna un incoraggiante +21%, e il resto dei titoli bancari tutti con segno positivo

il tanto temuto contagio è stato, almeno momentaneamente, arginato

e graziarcazzo

dopo aver dichiarato pubblicamente svariate volte di non aver bisogno di nessun particolare intervento pubblico, nel pomeriggio di ieri sono cominciate a circolare voci che credit suisse stava facendo pressioni sulla banca centrale svizzera per spingerla a fare una dichiarazione pubblica in grado di rasserenare un po’ i bollenti spiriti

l’annuncio è arrivato alle 8 di sera, a mercati europei già abbondantemente chiusi, ma con quello di new york, dove il titolo anche è quotato oltre a zurigo, ancora in pieno fermento

“qualora fosse necessario, la banca nazionale svizzera fornirà a credit suisse la liquidità necessaria”, hanno dichiarato i regolatori elvetici in un comunicato ufficiale

non è bastato

per la svolta è stato necessario aspettare le due di mattina, quando a rilasciare una dichiarazione è stata credite suisse stessa

e come sottolinea giustamente robert armstrong sul financial times, “Quando una banca annuncia alle 2 del mattino ora locale che sta prendendo in prestito dal governo, non è un buon segno. Sia nella crisi immobiliare statunitense che nella crisi del debito sovrano europeo che ne è seguita, annunci come questo hanno avuto la stessa probabilità di alimentare la paura quanto di placarla”

a questo giro, è andata bene

quello che credite suisse ha annunciato è che prenderà in prestito 50 miliardi di franchi svizzeri dalla banca centrale 

in questo modo, se i correntisti continuassero a chiedere di ritirare i loro soldi, non sarebbero obbligati a vendere qualche gioiello, scaduto, di famiglia per avere il contante necessario

una vita vissuta al limite

il problema dei liquidi che le banche tengono in cassaforte per fare fronte alle corse agli sportelli infatti è stato esacerbato da alcuni cambi di regole degli ultimi anni

la legge infatti stabilisce che percentuale del patrimonio le banche devono tenersi sotto forma di contante come riserva

fino al 2012 in europa era il 2%. oggi è l’1

negli USA, dal 2020, è 0

e quando poi qualcosa va male, ecco che arriva il salvataggio

il salvataggio svizzero è molto simile a quello messo in piedi negli USA dalla FED dopo il fallimento di Silicon Valley Bank per provare ad arginare almeno momentaneamente il patatrack: una marea di soldi pubblici da prendere in prestito facilmente e a condizioni più che generose

per averli infatti,dichiara la FED, basta presentare come garanzia i famosi titoli del debito del tesoro USA clamorosamente deprezzati, e loro faranno finta che valgono molto di più di quanto non valgono realmente sul mercato

la banca nazionale svizzera ha annunciato che lei invece come garanzia accetterà soltanto “asset di altà qualità”, ma cosa significhi concretamente nessuno al momento è in grado di dirlo

quello che è certo, è che non c’è troppo da fidarsi

tra i vari eventi che hanno portato al crollo in borsa di credite suisse infatti ci sono proprio i sospetti sul corretto funzionamento degli organi interni che devono valutare il vero valore delle obbligazioni che ha in pancia

“Il Credit Suisse ha affermato di aver identificato “debolezze sostanziali” nei suoi controlli interni sulla rendicontazione finanziaria”, titolava pochi giorni fa sempre il financial times. “l’ultimo colpo a una banca che lotta per risollevare le proprie sorti”, commentava

ad aver individuato queste “debolezze sostanziali” era stata price waterhouse cooper, il suo revisore

“la direzione non ha progettato e mantenuto controlli efficaci sulla completezza e sulla classificazione e presentazione degli elementi non monetari nel rendiconto finanziario consolidato”, avevano dichiarato

insomma, i numeri che risultavano sulla carta, non erano affidabili

ma oggi è il giorno dei pompieri, e non c’è spazio per andare troppo per il sottile

affidarsi alle tranquillizzazione di banche, regolatori e sedicenti controllori non si è rivelato sempre proprio saggissimo

negare anche l’evidenza, è la norma

per poi rimangiarsi regolarmente tutto

oggi ad esempio la missione è sostenere che credit suisse non è silicon valley bank, e che quella banca non è saltata perchè c’è qualcosa nel sistema che si è rotto, ma perchè era spazzatura

fino a pochi giorni fa, la pensavano diversamente 

secondo moody, una delle tre grandi sorelle del rating, infatti, ancora una settimana fa Silicon Valley Bank valeva un bel A3, e cioè, “basso rischio di credito”

la buona notizia è che evidentemente, nel tempo, sono migliorati

fino al giorno prima del crack di Lehman, infatti, il rating di Moody era A2, che è il gradino immediatamente superiore a quello di silicon valley bank

d’altronde, il management era in buona parte lo stesso. joseph gentile, direttore amministrativo di SVB, prima di raggiungere l’istituto di santa clara, fino al 2007, era stato direttore di una divisione di Lehman

la linea della difesa comunque è chiara: i due episodi, quello delle banche regionali USA e quello di credit suisse, sono del tutto scollegati, e dipendono da alcuni errori circoscritti facilmente arginabili

è quello che sostiene con toni che fanno quasi tenerezza il vicedirettore del corriere Daniele Manca

in California, sostiene Manca, “non hanno capito che con i tassi che aumentano le strategie devono cambiare”

in Svizzera invece, “era chiaro che inanellare nel giro di un paio d’anni investimenti sbagliati. perdite, fuga dai depositi e dalle gestioni, bilanci da chiarire, poteva avere conseguenze”. soprattutto quando, sottolinea il vicedirettore, hai a che far con “l’ingresso di azionisti mediorentali ricchi quanto poco accorti”

gli investitori ricchi sono, come sapete, i sauditi, che dopo essere stati coccolati per decenni, da quando hanno osato affrontare l’occidente disertando prima la campagna di arruolamento dell’occidente globale nella guerra contro il resto del mondo, e poi addirittura tornando a parlare di pace e negoziati con l’eterno nemico iraniano, e per di più con la mediazione cinese, sono improvvisamente diventati “poco accorti”

e a puntare il dito sui sauditi sono proprio tutti, all’unisono

i sauditi infatti da qualche mese, da quando cioè l’istituto dopo anni di crisi è stato costretto a ricapitalizzarsi, con il 9,9% sono i principali azionisti della banca

intervistati mercoledi mattina da Bloomberg, alla domanda se avessero intenzione, qualora fosse necessario, di aumentare ulteriormente la loro esposizione, hanno risposto con un laconico “assolutamente no”

secondo tutti gli analisti, è stata la mazzata decisiva

certo, gli basta poco

come hanno ricordato i sauditi infatti, per gli azionisti che superano il 10% scattano tutta una serie di regole aggiuntive sia in svizzera, che in arabia saudita, che alla borsa di new york. e i sauditi che non volevano superare quella soglia l’hanno sempre affermato piuttosto chiaramente. senza nemmeno un posto nel cda, come riporta anche reuters, i sauditi hanno sempre “descritto questo investimento come meramente opportunistico, e che sarebbero usciti una volta acquisito il giusto valore delle azioni”

insomma, le affermazioni dei sauditi, che siano o state meno il vero innesco, non sono altro che una scusa

come osserva giustamente sempre armstrong sul financial times, le crisi di questi giorni sono tutte chiaramente collegate tra loro. “Ad un certo punto in ogni ciclo di aumento dei tassi della banca centrale, le cose si rompono e le persone si spaventano. E quella paura cerca un ospite. SVB ha rotto, la paura è stata rilasciata e il Credit Suisse è stato l’obiettivo più debole”

come ricorda Armstrong infatti, la fuga da credit suisse ha radici piuttosto profonde

la controllata di credit suisse che si occupa di gestione patrimoniale, nel solo 2022, ha visto crollare il patrimonio di oltre il 27%

i depositi presso la banca, solo nel quarto trimestre dell’anno scorso, addirittura del 37

e dopo il fallimento di Silicon Valley Bank, i credit default swap, gli strumenti finanziari che assicurano gli investitori dal rischio di insolvenza, e che quindi più costano, più significa che il mercato crede sia imminente un fallimento, hanno raggiunto la cifra stratosferica di 550 punti base. il record precedente risaliva ad ottobre, quando avevano raggiunto quota 350

una preda predestinata

ora, che la vicenda silicon valley bank e quella credit suisse siano molto diverse tra loro è chiaramente pacifico

come è pacifico che in entrambi casi ci siano delle responsabilità specifiche, e anche degli errori che con qualche accortezza in più nel prossimo futuro possono essere scongiurati

ma pretendere di farci credere che la concomitanza dei due eventi, il fatto che si siano portati dietro in un batter d’occhio i titoli di tutto il settore, e la prontezza con cui i governi c’hanno voluto mettere una toppa, con i quattrini nostri, siano niente più che piccole crepe in un sistema tutto sommato solido, è sinceramente patetica

la rassicurazione principale che ci viene rivogata è che le grandi banche europee e americane sono molto più solide di quanto non lo fossero nel 2008

allora infatti a tenere in piedi i bilanci era una montagna di spazzatura: un castello di carta che si appoggiava su mutui fraudolenti concessi a persone che chiaramente non sarebbero state in grado di pagare e sulla base di valutazioni dei valori degli immobili che dire gonfiati è dire poco

ora invece a tenere in piedi i bilanci delle banche ci sono asset decisamente più solidi: i titoli del debito pubblico

ma da diversi punti di vista, la sostanza non cambia, e da un certo punto di vista, potrebbe essere anche peggio

come scrive il nostro Michael Hudson, “le insolvenze di questi giorni potrebbero essere molto più serie del crash del 2008”

quello che non cambia, è che ora come allora i conti delle banche sono fasulli

come i prodotti finanziari spazzatura non avevano minimamente il valore riportato in bilancio, che non teneva conto di quanto facilmente sarebbero arrivati a valere zero al primo soffio di vento, così anche le obbligazioni, che in bilancio vengono riportate con valori che sono fino al 50% superiori a quelle reali di mercato da quando è partita la corsa al rialzo dei tassi di interesse

ora, ovviamente i titoli di stato deprezzati sono meglio dei prodotti spazzatura del 2008

per fare pulizia dei titoli spazzatura nel 2008 il compagno Bush regalò alle banche 700 miliardi di soldi pubblici

ma almeno, una volta tolta di mezzo la spazzatura, il sistema poteva ritrovare la sua sostenibilità

ora invece, per evitare che gli asset delle banche continuino a crollare, bisognerebbe abbassare i tassi di interesse

ma con l’inflazione che non accenna a dare tregua, non ci pensano nemmeno

giusto pochi minuti fa, la BCE ha confermato il tanto atteso ulteriore aumento di 50 punti base, che vista la maretta di questi giorni qualcuno aveva cominciato a mettere in discussione

insomma, siamo dentro a un vicolo cieco

come ha scritto anche Larry Fink, presidente di BlackRock, nella lettera annuale agli investitori, è “il prezzo che stiamo pagando per un decennio abbondante di soldi facili”

dopo le banche regionali USA, sostiene Fink, potrebbe arrivare a breve il turno di un altro tassello del domino: “ i fondi investiti in investimenti illiquidi, come private equity, immobili e credito privato. in particolare se hanno utilizzato denaro preso in prestito per aumentare i rendimenti”

ma è comunque difficile pensare nel futuro a un ritorno ai tassi bassi

Fink infatti elenca una serie di fattori che rendono l’inflazione strutturale: dalle tensioni geopolitiche, alla frammentazione dei mercati

“I leader nei settori pubblico e privato stanno essenzialmente scambiando efficienza e costi inferiori per la resilienza e la sicurezza nazionale”, ha scritto. “L’inflazione persisterà e sarà più difficile da domare per i banchieri. Di conseguenza, credo che sia più probabile che l’inflazione rimanga vicina al 3,5% o al 4% nei prossimi anni”.

Come prevedeva giustamente l’economist a inizio anno, è il new normal: inflazione sostenuta, tassi alti, e crescita economica bye bye

con un debito pubblico e privato a livelli mai visti infatti, sarà già difficile pagare gli interessi su quello che già abbiamo. farne di nuovo per investimenti, sarà una chimera

nel frattempo Goldman Sachs rivede le stime sulla crescita del pil cinese: dal 5,5, al 6%

a novembre la stima era ferma al 4,5

“la ripartenza e le riaperture post covid sono state molto più rapide del previsto”, scrivono

l’occidente unito in guerra contro il resto del mondo e al servizio delle sue banche avanza trionfante

nel frattempo, se non vi fidate più della vostra banca e non sapete dove mettere i soldini, abbiamo la soluzione che fa per voi: aderite alla campagna di sottoscrizione di ottolinatv su gofundme e paypal

i quattrini li perderete lo stesso, ma almeno avrete un media che sta dalla parte del 99%

#CrediteSuisse #SVB #Crisieconomica #CrackBank

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