domenica, Ottobre 1

L’8 MARZO NON E’ LA FESTA DELLA DONNA MA LA GIORNATA INTERNAZIONALE DEI DIRITTI DELLE DONNE

di Nora Montella

Nel 2023, nell’immaginario delle persone, l’8 marzo è un giorno di festa, come fosse San Valentino. Ma non è assolutamente così, anzi, l’8 marzo è la Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne, creata ad hoc per ricordare le conquiste sociali, economiche e politiche ottenute dalle donne nei vari decenni, ma anche per sensibilizzare sulle discriminazioni e sulle violenze subite in passato come oggi dal sesso femminile. In quanto donna e sapendo quanto sia maschilista la società in cui viviamo, non mi stupisco che culturalmente si tolga valore a tale giornata. Quando si parla di mondo femminile la cultura patriarcale e capitalista fa di tutto per svalutare le rivendicazioni che le donne hanno portato e portano avanti, riducendo tutto ad un mazzo di mimose.

Tutt’ora la condizione della donna, in Italia come nel mondo, non è delle migliori. E non sono io a dirlo, ma i dati ufficiali, come quelli offerti dall’Istat: “Sono un milione e 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Rappresentano l’8,9% per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione”.

Ma ancora.. Secondo quanto emerso dal rapporto di Save the Children “Piccoli schiavi invisibili”, nel 2019 il Sistema Nazionale Anti-tratta (iniziativa ideata contro lo sfruttamento), è arrivato ad avere in carico 2.033 persone, di cui l’86% (1.762) sono donne e ragazze. Lo sfruttamento sessuale resta ampiamente la forma più diffusa (84,5%). I minorenni sono 161, di cui il 95% sono femmine, quasi tutte tra i 15 e i 17 anni.

E non finisce qui. Sono già 20 le donne uccise da inizio 2023 per mano di uomini che dichiarano di amarle. Per non parlare della violenza fisica, psicologica ed economica a cui siamo sottoposte ogni giorno; non a caso in tale società la donna ancora fatica a sedere in posti apicali o a ricevere il medesimo stipendio dei colleghi uomini (anche se svolgono lo stesso impiego), ed è solo la donna a dover continuare a scegliere tra famiglia o lavoro.

Per questo penso sia necessario introdurre, dai primi anni di scuola, percorsi di sensibilizzazione che permettano agli individui di entrambi i sessi di emanciparsi, rispettandosi e imparando a convivere senza dover mantenere attive dinamiche di potere che non permettono il reale sviluppo dell’identità. Ogni donna e ogni uomo deve essere libera e libero di esprimere se stesso nel pieno rispetto dell’altro, senza considerarsi migliore o inferiore. Ed è sempre per questo che penso che tale cultura non emancipante sia funzionale solo al capitalismo. Mi spiego meglio: in una società basata esclusivamente sul profitto non bisogna stupirsi che si voglia mantenere la donna in una posizione di sudditanza, così da avere il permesso di poterle pagare meno sul posto di lavoro. Solo una società perversa come quella capitalistica preferisce il profitto alla libertà individuale e collettiva.

Non solo l’8 marzo, io l’8 tutto l’anno!

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