lunedì, Settembre 25

HOPE & COMPANY

Il volto cinico del capitalismo

Per loro tutto era una merce: uomini, religiosi, oppio, zenzero, tessuti, oro, argento, guerre e quindi potevano essere freddamente calcolati secondo i disumani parametri capitalistici. Gli Hope furono tra i migliori interpreti di questa immonda morale.

di Andrea Montella – 2008

Hope & Co. è il nome di un’antica banca olandese, forse la prima banca d’affari al mondo. Che ha calcato il palcoscenico della finanza mondiale per due secoli e mezzo. Benché i fondatori, gli Hope, fossero mercanti scozzesi, la banca aprì la sede e le sue attività principali in Olanda, in particolare ad Amsterdam e solo dalla fine del XVIII secolo ebbe uffici anche a Londra.

Archibald Hope in un dipinto del 1720,
esposto nella Banca di Rotterdam

Sei degli otto figli del capostipite Archibald Hope (1664-1743) – Archibald Jr, Isaac, Zachary, Henry, Thomas  ed Adrian – erano, come il genitore, commercianti. Le loro attività primarie si svolgevano nei settori dei trasporti, immagazzinamento, assicurazione e credito, che svolgevano prevalentemente nelle città di Amsterdam e di Rotterdam. Nel 1720 restano coinvolti nel disastro finanziario causato dalla vicenda della britannica South Sea Company, che condurrà all’emanazione del Bubble Act. La South Sea Company aveva  acquisito integralmente in forza di un atto legislativo l’intero debito pubblico inglese, che ammontava a 10 milioni di sterline.

La South Sea Company sulla scorta dei successi militari contro la Francia, aveva fatto crescere il valore delle azioni a ritmi vertiginosi, sino al tracollo definitivo: un contraccolpo violento come quello causato oggi dalla bolla dei subprime, che all’epoca ha avuto anche vittime illustri, come lo scienziato rosa-croce Isaac Newton. La nazionalizzazione della South Sea Company, con il Bubble Act, portò molti investitori sul lastrico, gli amministratori della società nella prigione della Torre di Londra, ma salvò il sistema finanziario pubblico inglese. Molti banchieri in Olanda a causa della loro bramosia e della scarsa lungimiranza fallirono e parecchi altri lasciarono il Paese.

Ma gli Hope non si persero d’animo e trovarono ben presto una nuova strada per rimpinguare i loro forzieri: organizzando, sotto la direzione di Archibald Jr, Isaac e Zachary, spedizioni di quaccheri da Rotterdam. Per differenziare l’attività intrapresero anche il commercio degli schiavi ad Amsterdam, sotto la direzione di Thomas e Adrian. 
Gli anni d’oro delle spedizioni di quaccheri verso la Pennsylvania furono il 1738, il 1744, il 1753 e il 1765. Questi trasporti erano pagati dalla città di Rotterdam e della chiesa Battista locale, poiché i quaccheri non avevano risorse economiche adeguate.

Negli anni migliori gli Hope ricevettero 60 fiorini olandesi a  quacchero e in quelli peggiori 11.

Henry Hope, nipote del fondatore Archibald

I quaccheri, appartenenti alla Società degli amici e seguaci del predicatore George Fox, dovettero rifugiarsi in Olanda e in America a causa delle persecuzioni della Chiesa anglicana. Per i quaccheri il rapporto con Dio veniva ricondotto alla luce interiore, cioè all’esperienza intima e diretta della redenzione, e la presenza di Dio si rivelava al singolo attraverso il tremito delle labbra (da qui l’appellativo ironico di quakers, tremanti).

Il commercio degli schiavi era meno vantaggioso e veniva compensato stipando all’inverosimile le navi di persone e dalla minor cura con cui venivano trattati, tanto che il 16% tra bambini, donne e uomini moriva a bordo. La ricchezza degli Hope fu incrementata in modo determinante dalle speculazioni e dai traffici durante la Guerra dei Sette Anni (1756-1763) tra Inghilterra e Francia.

Nel 1762 i nipoti Jan (John) e Henry Hope entrarono nella società e il nome venne cambiato in Hope & Co. Nello stesso periodo l’inglese John Williams e Pierre Cesar Labouchere diventarono soci della di ditta. Nello stesso anno gli Hope allargarono le loro attività ad Amsterdam in Keizersgracht 444-446.

Zachary (1747-1821), figlio di Archibald, divenne membro del Parlamento olandese ed entrò nel consiglio d’amministrazione della West Indian Company (WIC), e divenne il proprietario dell’ ex palazzo del “Lange Voorhout” all’Aia, che oggi ospita un museo e un’attrazione virtuale dedicata ai lavori dell’artista grafico Maurits C. Escher .

Il matrimonio di Pierre Cesar Labouchere con Dorothy, la terza figlia di Francis Baring, fu il tentativo di fondere i Baring e gli Hope. Labouchere giocò un importante ruolo di negoziazione con la Francia, gestendo la maggior parte dei finanziamenti francesi per l’Olanda.

AMSTERDAM E GLI HOPE: una storia in comune

L’archivio Hope è un’importante risorsa per capire la storia di Amsterdam e dell’Olanda come centro del commercio mondiale nel XVIII secolo. Nel 1977 la raccolta è stata donata all’archivio della città di Amsterdam, ed è ora consultabile dal pubblico.

La sede storica della Banca Hope & Co. ad Amsterdam in Keizersgracht 444-446

L’archivio della Hope & Co. è stato unito con l’archivio della Dutch East India Company perché nel 1752 uno dei fratelli Hope, Thomas, (1704-1779), divenne un membro del “Gentlemen XVII”, nome dato ai diciassette direttori al vertice della Dutch East India Company e quattro anni dopo egli divenne il capo del consiglio d’amministrazione della società. Nel 1766 Thomas divenne il portavoce di William V degli Orange, il capo formale della compagnia. Quattro anni dopo, nel 1770, Thomas si ritirò e passò le responsabilità al figlio John (1737-1784), che rimase nella Dutch East India Company e nella Hope & Co. fino alla morte.

Adrian era un membro del Parlamento olandese e del Consiglio della città di Amsterdam. Diversamente dalle banche di oggi, che preferiscono gestire i politici da dietro le quinte, i soci della Hope & Co. mescolavano affari privati e della banca con quelli pubblici. Molte lettere dell’archivio sono molto utili per comprendere in modo crudo gli avvenimenti dell’epoca e il ruolo della borghesia e del nascente capitalismo.

Le lettere prima del 1720 sono indirizzate a Thomas e Adrian Hope. Una sezione particolarmente ricca dell’archivio è rappresentata dalle corrispondenze del periodo che va dal 1795 al 1815, quando Henry Hope era stato costretto a lasciare l’Olanda, per mettere a punto gli uffici di Londra. Le regolari e meticolose corrispondenze tra Amsterdam e Londra forniscono ulteriori ed importanti contributi per comprendere come avvenivano le negoziazioni dei commerci di quel periodo storico.

Il funzionamento giornaliero della Hope & Co. era nelle mani del nipote americano Henry Hope  (1736-1811), che fece commerci con differenti paesi, compreso Svezia, Polonia, Russia, Portogallo, Spagna, Francia e Stati Uniti. Nel 1804 la Hope & Co. emise azioni per finanziare l’acquisto della Louisiana, grazie alla negoziazione di Henry Hope e Francis Baring.

Thomas Hope (1769-1831) – figlio di John – ereditò la preziosa collezione di opere d’arte che suo zio Henry aveva accumulato e che, non avendo eredi, diretti lasciò al nipote. Successivamente la collezione d’arte fu ereditata da Adrian van der Hoop che nel 1814 divenne socio della Hope & Co.; alla morte di Adrian la collezione valeva la considerevole somma di 5 milioni di fiorini olandesi ed è stata ceduta alla città di Amsterdam, che ha creato un museo per ospitarla. La collezione comprende più di 250 capolavori del XVIII e XIX secolo, tra cui dei Rembrandt e dei Vermeer.

Nel XIX secolo la Hope e Co. si è specializzata in investimenti nelle ferrovie, immettendo capitali soprattutto negli Stati Uniti e in Russia. Nel XX secolo ha spostato i suoi affari dai trasporti alla finanza. Nel 1962 la Hope e Co. si è fusa prima con Mees & Zoonen, poi nel 1975 con Pierson.

Successivamente è stata incorporata dalla ABN Amro (la banca che ha inglobato anche Banca Antonveneta nel 2006) ed è ora parte di RbS-Fortis-Santander.

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