giovedì, Aprile 25

I VANDERBILT

I padroni del vapore: dall’Olanda alla conquista del Nuovo Mondo

“Signori, avete voluto frodarmi. Non vi citerò, perché la legge è troppo lenta. Vi manderò in rovina. Distinti saluti”

Cornelius Vanderbilt (1794-1871)

di Andrea Montella – 2011

Le origini dei Vanderbilt vanno cercate nell’Olanda del 1600 quando il capostipite Jan Aertson nel 1640 salpò per il Nuovo Mondo, lasciandosi alle spalle Bilt il suo villaggio situato nella provincia di Utrecht.

Jan Aertson affrontò la traversata su una piccola nave della Compagnia delle Indie occidentali olandesi e impiegò due mesi prima di giungere a Fort Amsterdam, estremità inferiore dell’isola di Manhattan e, come molti di coloro che non possedevano nulla, firmò la rinuncia alla libertà per tre anni e fece il servo a contratto presso i Wolpherson, una facoltosa famiglia di proprietari terrieri. Jan Aertson van der Bilt, incoraggiato dai suoi padroni, trafficava in ogni genere di cosa: dai terreni alle pelli da concia alle pellicce. Le vittime dei suoi traffici erano i poveri indiani a cui venivano dati in cambio collane di conchiglie. La maggior parte delle ricchezze che i coloni sottraevano agli indiani finiva nelle capienti stive delle navi della Compagnia delle Indie in cambio di una mucca o di un mulo. E quando gli indiani scoprivano che lo scambio era svantaggioso e che la giustizia era stata violata si ribellavano e in quel momento, per i coloni al servizio della Compagnia delle Indie, iniziavano i problemi. Ma la Compagnia delle Indie era organizzata anche per fornire assistenza militare ai coloni: arruolandoli e trasformandoli in soldati, con lo scopo di ristabilire la “pace” sconfiggendo i nativi per continuare così la predazione di quel territorio.

In questo contesto il capostipite dei Vanderbilt prosperò e visse abbastanza per affrancarsi dai Wolpherson e per stabilirsi nella zona di Long Island, veder crescere suo figlio Aris e il definitivo arrivo su New Amsterdam (l’attuale New York) degli inglesi. Aris fece buoni affari nella zona di Brooklyn e fece crescere il patrimonio di famiglia parallelamente allo sviluppo della colonia.

Prima dell’arrivo degli inglesi gli olandesi acquistarono le terre di Staten Island, anche Jan Aertson acquistò la sua parte: 40 ettari. Quei terreni furono ricomperati, in seguito dal figlio di Aris, Jacob, quando questi si sposò con la giovane Mary. Jacob in seguito acquistò altri 40 ettari di terreno nella regione che in seguito fu chiamata New Dorp e che divenne il rifugio dei seguaci di Giovanni Huss, il protestante che spianò la strada alla Riforma.

I discepoli di Huss fuggiti dall’Europa, seguirono gli Ugonotti e i Valdesi nel Nuovo Mondo dove presero il nome di Moravi e Jacob van der Bilt ne divenne un fervente seguace. Jacob e Mary ebbero ben 11 figli e tra questi Cornelius (1764-1832) che americanizzò il suo cognome in Van Derbilt.

Un ulteriore modifica al cognome fu apportata durante il periodo della Rivoluzione americana da un ramo della famiglia, quella di Jeremias Vanderbilt di Brooklyn, che sottoscrisse anche un documento pubblico di appoggio alla Dichiarazione d’indipendenza fatta dalle colonie, attirandosi le antipatie di tutti gli inglesi conservatori.

Il vero artefice della fortuna dei Vanderbilt fu Cornelius (1794-1871) un uomo che recuperò delle sue origini olandesi le tradizioni marinare. Cornelius era nel contempo parsimonioso e feroce come potevano esserlo tutti coloro che erano cresciuti alla scuola dei docks e dei castelli di prua delle imbarcazioni che trafficavano nel porto di New York. Dotato di una forza eccezionale e di altrettanta abilità manuale, era diventato un elemento di primo piano tra i padroni di battelli fluviali e di piccolo cabotaggio. I primi anni della sua attività lo videro impegnato in uno scontro selvaggio contro il gruppo di navigazione Fulton Livingston. Quando capì che la navigazione a vapore sarebbe diventata vantaggiosa fece costruire i migliori piroscafi e divenne leader del traffico oceanico e costiero.

Cornelius Vanderbilt

Cornelius comprese l’importanza della corsa all’oro verso la California e organizzò una linea che partiva dalla costa Nord dell’Atlantico arrivava a San Juan del Norte e risalendo il fiume San Juan arrivava attraverso il lago Nicaragua fino a 12 miglia dalla costa del Pacifico, tratto che veniva percorso con le diligenze per rimbarcarsi e giungere a San Francisco. Fu una delle imprese dove Vanderbilt dimostrò una determinazione e una durezza senza pari: organizzò personalmente bastimenti e diligenze, superando difficoltà che andavano dalle maree, alle rivolte degli indigeni, alle malattie tropicali, allo scontro con i filibustieri. Il percorso da lui praticato gli fece nascere l’idea della costruzione di un canale navigabile precorrendo quello di Panama. Prese accordi con il governo nicaraguense a cui avrebbe dato 10 mila dollari alla firma del contratto in cui si impegnava a scavare il canale e altri 200 mila dollari in azioni dell’impresa, più il 20 per cento dei proventi per vent’anni e in seguito il 25 per cento. Il governo nicaraguense accettò, ma trovò a sbarrargli la strada la Corona inglese che sollecitata dagli interessi dei cittadini britannici in America centrale intervenì arrivando al trattato di Clayton-Bulver del 1850 con il governo americano in cui gli inglesi rinunciavano a gran parte dei diritti extraterritoriali nella zona e gli americani non avrebbero costruito alcun canale.

Vanderbilt nonostante il tradimento ricevuto dal suo governo non si arrese e scoprì che alcuni inglesi avevano un interesse non proprio fugace sul progetto e da lì ripartì per realizzare comunque una linea di trasporto che congiungesse l’Atlantico al Pacifico passando per fiumi, laghi e terra, costruendo infine una strada asfaltata.

La ricchezza di Cornelius Vanderbilt si accumulò soprattutto tra il 1850 e il ’60; in quel periodo aveva più di 100 navi e guadagnava 100.000 dollari al mese. Ma la sua ricchezza non era solo frutto del sudore della fronte: al tempo degli scandali dei sussidi alle linee di navigazione, del 1858, risultò che Vanderbilt e Edward K. Collins della Pacific Mail Steamship Line erano accusati delle principali truffe ai danni dei contribuenti del proprio Paese: Collins ritraeva dal governo un sussidio per il trasporto della posta di 900 mila dollari all’anno, una cifra che doveva consentirgli di far pagare ai meno abbienti viaggi a cifre popolari, invece quadruplicava i prezzi per i passeggeri di terza classe e corrispondeva a Vanderbilt, che sapeva della truffa, la ragguardevole somma di 56 mila dollari al mese per stare zitto.

Con questi metodi da pirata Cornelius Vanderbilt saccheggiò la Borsa giocando al rialzo e al ribasso dei titoli delle sue società di navigazione e distrusse i suoi concorrenti praticando prezzi talmente ridotti da portarli al fallimento. Ottenuto il monopolio nel settore faceva risalire i prezzi a tali livelli da riprendersi con gli interessi la quota di denaro a cui aveva dovuto rinunciare temporaneamente per sconfiggere la concorrenza. Grazie a queste pratiche Cornelius Vanderbilt nel 1853 poteva vantare una “fortuna” di 11 milioni di dollari che aveva ovviamente investito al 25 per cento.

Erano tempi di lotte furibonde, senza esclusione di colpi si lottava per il potere e la legge era un intralcio al mercato capitalistico; Vanderbilt aveva delle regole e della legge un’idea precisa: “Cosa me n’importa della legge? Non ho forse il potere?”.

Comunque gli eredi di Cornelius non furono capaci di continuare la sua opera in quanto non compresero l’evoluzione che il sistema capitalistico, nel suo insieme, avrebbe imposto anche alla borghesia. Una selezione che non derivava dalle lotte per il primato nel mercato, ma che avveniva grazie all’introduzione di un sistema fiscale molto efficace.

Cosa che invece compresero benissimo famiglie come quelle dei Rockefeller che aggirarono l’ostacolo fiscale trasferendo i loro patrimoni alle fondazioni.

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