di Paola Baiocchi

Cominciano domenica i mondiali di calcio in Qatar, a cui la Nazionale italiana non prenderà parte. Non certo per scelta politica, come protesta contro un regime dove i diritti delle donne e delle minoranze sono calpestati, ma perché non si sono qualificati.
Forse fanno più bella figura così, visto le notizie che stanno circolando sul numero di morti che sarebbero costati i lavori per la costruzione degli impianti sportivi e per le infrastrutture necessarie allo svolgimento dei Mondiali, dagli hotel accreditati FIFA (Federazione internazionale shgjdhgajgdjha) al centro media: fino a 6.500 persone, da quando nel 2010 la FIFA ha proclamato l’assegnazione dello svolgimento della Coppa del mondo 2022 nell’emirato qatariano.
Una strage di lavoratori provenienti soprattutto dalle zone più povere del mondo, come India, Bangladesh, Sri Lanka e Nepal, chiamati a lavorare in condizioni disumane dalla famiglia al-Thani, considerata in Occidente come una delle monarchie assolute tra le più dinamiche e avanzate tra quelle del Golfo.
Eppure qui le donne possono votare solo dal 1999, sono sottoposte all’approvazione dei maschi di casa (fratelli o marito) per qualsiasi attività vogliano svolgere, anche le più semplici.
Solo nel 2008, poi, è entrata in vigore una nuova Costituzione che prevede per la prima volta l’elezione popolare di due terzi del parlamento, i cui membri sono oggi nominati dall’emiro. Le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea consultiva – che dovrebbe contestualmente passare dagli attuali 35 membri a 45 – non si sono tuttavia ancora tenute e il parlamento continua a esercitare un’influenza del tutto marginale sulla vita del paese, in cui il potere è concentrato nelle mani della famiglia regnante.
L’ipocrisia del mondo del calcio si manifesterà con la partecipazione di tutte le squadre ammesse, che però effettueranno delle proteste silenziose: durante le partite i capitani di diverse nazioni europee, tra cui Inghilterra, Francia e Germania, indosseranno bracciali arcobaleno e il messaggio “One Love” come parte della Coppa del Mondo di una campagna Lgbt contro la discriminazione sessuale.
La scorsa settimana i 16 giocatori della nazionale australiana e la stessa Federazione australiana di calcio, in un video corredato da un comunicato, hanno denunciato le «sofferenze» dei lavoratori coinvolti nell’organizzazione dell’evento calcistico internazionale.
Ma è troppo ricca la Coppa del mondo perché qualche nazionale rinunci a parteciparvi: Amnesty international chiede che FIFA e Qatar finanzino un fondo di indennizzo per le vittime di 440 milioni di dollari, pari alla cifra che viene distribuita dalla Federazione internazionale in occasione dei Mondiali oltre a garantire l’impegno che in futuro non si ripeteranno più stragi del genere.
Ma probabilmente i fondi qatariani che si continueranno a vedere sono quelli che acquisiscono squadre come il Paris Saint Germain o l’Inter.