“La crescita di una grande azienda è semplicemente la sopravvivenza del più adatto“
John Davison Rockefeller Senior (Richford 1839 – Ormond Beach 1937)
di Andrea Montella – aprile 2007
La famiglia Rockefeller giunse in America nel lontano 1723 grazie a Johan Peter un boscaiolo proveniente dalla Germania. Come molti coloni dell’epoca trovò sistemazione e lavoro in quella parte dell’America che divenne, dopo essere passata dagli olandesi agli inglesi, lo stato di New York.
Suo successore fu Gottfried Rockefeller che mutò il nome, di chiaro stampo teutonico, in Godfrey più consono alla nuova realtà anglosassone e si stabilì nella contea di Fioga, dove prese per moglie Lucy Avery, che gli diede nel 1810 il primogenito William Avery.
William Avery Rockefeller, detto anche “Big Bill” per la sua imponente statura era un giovane di bell’aspetto e conquistò il cuore di Eliza Davison, che l’8 luglio del 1839 gli diede il primo figlio maschio: John Davison Rockefeller, il futuro capostipite di una dinastia di banchieri-petrolieri, a tutt’oggi considerata tra le più ricche ed influenti del mondo.

William Avery era un “gran lavoratore” con una propensione al guadagno facile e così si trasformò da agricoltore e commerciante in ciarlatano: da ambulante vendeva elisir contro ogni tipo di malanno e tra le sue vittime preferite c’erano le tribù indiane. Con la ciarlataneria la famiglia Rockefeller mise da parte una discreta fortuna, mentre cresceva di numero, oltre alla primogenita Lucy e John Davison ebbe altri rampolli: William, Mary Ann, Franklin e Francis che morirà a soli due anni.
A causa dell’attività del padre, un antesignano di Vanna Marchi, la famiglia fu costretta a spostarsi per evitare guai con la legge: si trasferirono prima in Moravia e poi a Oswego, sempre nello stato di New York. Nel 1853 la famiglia si spostò a Cleveland, in Ohio; qui il futuro miliardario frequentò la Central High School, ed entrò a far parte della Erie Street Baptist Church, della quale a soli 21 anni diventa amministratore fiduciario. Terminati gli studi nel 1855 si iscrisse ad un corso per futuri imprenditori al Folsom Mercantile College e, in attesa del grande balzo nel mondo delle imprese, faceva il contabile presso la società Hewitt & Tuttle.
Tre anni dopo, nel 1858, le sue aspirazioni di diventare un imprenditore e di far lavorare il denaro al posto suo si concretizzarono fondando la sua prima società, la Clark & Rockefeller, che nel 1863 investì in una raffineria di petrolio. In seguito la National Bank di Cleveland, una delle banche di proprietà dei Rothschild, fiutando le enormi potenzialità di quella fonte energetica, finanziò John D. Rockefeller con lo scopo di monopolizzare il settore della raffinazione del petrolio.
Nel 1870, a seguito del finanziamento, Rockefeller poté costituire la Standard Oil, in partnership con Samuel Andrews, un chimico geniale che apportò miglioramenti ai processi di raffinazione, con Henry Morrison Flager, che fu il pioniere della Florida turistica che dal 1880 fece sviluppare con ingenti investimenti, tra cui la ferrovia da Jacksonville a Key West, e Stephen Harkness, uno dei rampolli della borghesia americana, membro della società segreta Testa di lupo, con la Skull and Bones, una delle tre logge più influenti di Yale.

Nel decennio 1870-80 la società divenne la compagnia leader in ambito petrolifero e Rockefeller si arricchì in modo considerevole.
Il suo rapido arricchimento fu frutto di una politica monopolistica che combinava due fattori: attraverso il controllo delle politiche tariffarie delle ferrovie, determinava l’indebolimento dei concorrenti, impedendone lo sviluppo e poi assorbendoli.
Che dietro i trasporti su rotaia agisse un trust, venne denunciato da un’inchiesta del dicembre 1905: le compagnie ferroviarie appartenevano alle banche di New York, alle grandi famiglie – definite «robber barons» – come i Rockefeller e i Morgan, i quali avevano capito che dall’ubicazione delle stazioni, dalle tariffe e dal prezzo dei prodotti potevano condizionare sia la nascita che la prosperità delle città e acquisire un potere immenso.
Le compagnie potevano favorire alcune imprese, rovinarne altre, stringere alleanze per aumentare le tariffe, prezzolare i politici per strappare leggi a loro favorevoli per avere concessioni e sovvenzioni, speculare nell’immobiliare, manipolare i propri conti. E tutto senza rischi.
Lo Stato, in confronto a loro, era (ed è) un nano, che controllano.
Nel 1911 la Corte Suprema degli Stati Uniti, su pressione popolare, stabilì che la Standard Oil – controllando il 64 % del petrolio negli USA – costituiva un monopolio e la costrinsero a dividersi. Dalla disgregazione nacquero 37 diverse società, fra le quali le più grandi furono la Continental Oil, che divenne la Conoco; la Standard Oil of Indiana (poi Amoco); la Standard Oil of California (poi Chevron); la Standard Oil of Ohio (poi Sohio); la Standard Oil of New Jersey, che originò la Esso (in seguito Exxon); la Standard Oil of New York, da cui si sviluppò la Mobil che nel 1999, si fuse con la Exxon e divenne ExxonMobil.

Rockefeller, peraltro, rimase azionista di tutte queste società, cedendo solo poche quote. Fu un brillante esempio di come aggirare una legge antitrust e su chi comandava negli Stati Uniti. È stato la dimostrazione che negli Usa lo Stato, come noi europei lo concepiamo, non esiste. America ed Europa affrontano il problema economico in modo diverso: in Europa, grazie all’influenza di grandi movimenti – come quello socialista e comunista – l’economia è “concertata” tra industriali, sindacati e Stato; gli Stati Uniti praticano un’economia di mercato senza mediazione sociale. Quindi i Paesi anglosassoni sono il risultato del darwinismo (evoluzione biologica) e dello spencerismo (evoluzione sociale), che hanno notevolmente influenzato la cultura di questi uomini a capo di veri imperi economici e, grazie alle loro pressioni, queste idee hanno trovato benevola accoglienza negli ambienti universitari e in quelli politici. John Davison Rockefeller affermava infatti: «La crescita di una grande azienda è semplicemente la sopravvivenza del più adatto».
E gli faceva eco il sociologo William G. Sumner: «I milionari sono il prodotto della selezione naturale».
John Davison Rockefeller è stato lo statunitense più ricco di tutti i tempi. Nessuno è mai riuscito ad avvicinarsi a quello che era il rapporto tra la sua fortuna e le dimensioni del prodotto interno lordo del Paese: il suo patrimonio, nel 1911, era stimato in 900 milioni di dollari, che oggi equivarrebbero a 189 miliardi di dollari.
All’inizio del XX secolo, la famiglia Rockefeller era proprietaria, anche di miniere di carbone nel Colorado. A partire dal 1910, queste furono teatro delle grandi lotte sindacali dei minatori, di cui il momento più tragico fu il massacro di Ludlow che avvenne il 20 aprile 1914, a seguito della feroce repressione degli scioperi da parte delle guardie private armate della Colorado Fuel and Iron Company, di proprietà dei Rockefeller.
In conseguenza dello sciopero le famiglie dei lavoratori erano state sloggiate dalle abitazioni, di proprietà delle compagnie minerarie e si erano accampate su un terreno pubblico. I lavoratori in sciopero erano per la maggior parte greci, italiani, slavi e messicani.
In un attacco preparato freddamente, le guardie private spararono sull’accampamento e poi gli diedero fuoco, uccidendo venti persone, di cui una dozzina fra donne e bambini. Indagini successive dimostrarono l’uso del kerosene per appiccare gli incendi. Sette delle vittime avevano meno di sei anni. La lotta dei minatori del Colorado coinvolse fino a dodicimila lavoratori, durò dall’autunno del 1913 fino al dicembre del 1914 e si inserisce nel più ampio contesto delle lotte operaie degli Stati Uniti di inizio ‘900, quando la loro impetuosa crescita economica attirava forza lavoro da tutto il mondo.
Il tasso di incidenti mortali nelle miniere del Colorado era circa il doppio della media nazionale; le condizioni erano tali che i muli della compagnia era trattati meglio dei lavoratori. Un aneddoto significativo riporta le prime parole di uno dei dirigenti delle miniere quando una di queste crollò: «I muli ne sono usciti?».
Con lo scopo di sopprimere i minatori in sciopero fu ingaggiata la Baldwin Felts Detective Agency, che agiva spietatamente anche con un’automobile armata di mitragliatrice, chiamata la Death Special.
Il giorno del massacro, i minatori stavano celebrando la Pasqua greco-ortodossa: alle dieci del mattino la milizia, guidata dal comandante Karl E. Lindenfelter, circondò il campo ed iniziò a sparare sulle tende.
Alcuni dei leader dello sciopero furono arrestati nei giorni successivi e giustiziati dalle guardie dei padroni delle miniere. Nessuno dei responsabili del massacro fu mai punito.
Il giornalista John Reed, inviato del Metroploitan Magazine, giunse in Colorado pochi giorni dopo il massacro. Di questa strage e dell’eco che suscitò fra i lavoratori e la popolazione Reed scrisse in un suo famoso articolo, La guerra del Colorado (1914).
Questi metodi introdotti dalle grandi famiglie non si fermarono e furono una delle caratteristiche della politica interna degli Stati Uniti; erano un metodo privato di risoluzione dei problemi sociali. In Europa si fascistizzavano gli Stati, mentre in America ci pensavano direttamente i grandi capitalisti, in una forma di fascismo privato, di violenza inaudita: nell’ottobre 1934, il New York Post pubblicò le dichiarazioni di un sicario del padronato che, dopo aver fornito 6.000 altri sicari a una compagnia ferroviaria, spiegava candidamente «Disponiamo di 2.500 fucili e di un’infinità di munizioni. Reprimere gli scioperi è solo una delle nostre specialità. Attualmente ci concentriamo sulla prevenzione. Il nostro lavoro consiste nel ridare fiducia agli operai conservatori, screditando i radicali e gli agitatori».
Ida Tarbell pubblicò diciotto articoli su «La storia della Standard Oil». Il primo nel novembre 1902, l’ultimo due anni più tardi. Concludeva così le sue riflessioni: «Rockefeller ha raggiunto i suoi scopi ricorrendo alla forza e alla frode. Ma invece di suscitare disprezzo questi metodi vengono sempre più ammirati. È logico, del resto: celebrate il successo in affari, e gli uomini che si sono affermati come quelli della Standard Oil diventeranno eroi nazionali».
Non deve stupire quindi che molti anni più tardi un suo discendente, David Rockefeller, scrivesse una lettera ad un criminale come il generale golpista argentino Rafael Videla, di questo tenore: «Caro signor Presidente, La ringrazio molto per aver trovato il tempo per ricevermi durante la mia recente visita in Argentina. Per me, che mancavo da sette anni, è stato incoraggiante vedere quanti progressi ha fatto il suo governo durante gli ultimi tre anni nel controllo del terrorismo e nel rafforzamento dell’economia. Mi congratulo per quello che ha ottenuto e le auguro ogni successo per il futuro. La Chase Manhattan Bank è molto soddisfatta di essere presente in Argentina tramite il Banco Argentino de Comercio, e speriamo di poter avere, negli anni a venire, un ruolo sempre crescente nel sostenere lo sviluppo del suo paese. Con i più calorosi auguri. Sinceramente, David Rockefeller».
John Davison Rockefeller, in fondatore della dinastia, morì a 98 anni nel 1937 e fu sepolto a Cleveland. I suoi discendenti hanno continuato ad occupare importanti posizioni nel mondo degli affari e della politica, tanto da essere presenti in tutte le strutture che hanno il vero potere decisionale sulle politiche dei vari Stati, dal Council on Foreign Relation, al Bilderberg Group alla Trilateral Commission.
John Davison Rockefeller jr (1874-1960), oltre che rilevare le attività del padre, si interessò anche di politica estera, simpatizzando per le teorie wilsoniane. Per assicurarsi che la nascente organizzazione delle Nazioni Unite avesse sede in America, a portata di mano, John D. Rockefeller Jr donò il terreno dove sarebbe sorto il Palazzo dell’Onu.

Un suo nipote, Nelson Rockefeller, ha partecipato in modo attivo nella politica americana come Governatore dello Stato di New York e vice-presidente degli USA con Gerald Ford.
In Italia i Rockefeller hanno la Rockefeller Foundation Research Center, un “osservatorio-pensatoio” che ha sede nella villa Serbelloni di Bellagio (Co). Oltre ad “osservarci” i Rockefeller hanno avuto anche un forte peso nelle vicende economiche del nostro Paese, “scendendo in campo” nelle privatizzazioni, con la forza di quei circoli esclusivi come il Bilderberg e l’Aspen. Infatti fu il governo di Giuliano Amato, appartenente al Circolo Bilderberg e all’Aspen Institute, che nel 1992 incaricò ufficialmente tre banche d’affari: la Goldman Sachs, la Merrill Lynch e la Solomon Brothers, a svendere il patrimonio delle ex-Partecipazioni Statali. Circa gli acquirenti bastino i soli nomi di Evelyn de Rothschild, della City di Londra, e di David Rockefeller.
