di Massimo Nava
Si sono tenute domenica in Bosnia le elezioni per il rinnovo della presidenza tripartita e dei diversi organi istituzionali che costituiscono il complicatissimo sistema di governo del Paese. Un sistema concepito dopo gli accordi di pace di Dayton per garantire un equilibrio democratico fra varie etnie e religioni e, di fatto, paralizzante ormai da quasi trent’anni. Domenica ha votato poco più della metà della popolazione. Anche se non sono mancati segnali di novità, per lo più nella componente musulmana bosniaca, il voto ha confermato la sostanziale divisione del Paese e i rischi di ulteriori tensioni e lacerazioni.
Ma, al di là del risultato politico, ciò che preoccupa (o dovrebbe preoccupare di più) è il progressivo spopolamento della Bosnia e più in generale dei Balcani, accompagnato dalla rassegnazione o dall’estremismo di chi resta. Se ne vanno i giovani e le forze intellettuali migliori, restano i poveri e i nazionalisti, sostenuti dai rispettivi sponsor e simpatizzanti e da forze esterne (Russia, Cina, Turchia, Monarchie del Golfo) che hanno interesse alla penetrazione economica e persino religiosa. (A Sarajevo, la componente musulmana è ormai prevalente con qualche componente radicale). Russia e Cina, in particolare, hanno interesse a una presenza nei Balcani per bilanciare il progressivo insediamento di basi Nato (dal Montenegro alla Macedonia) dopo la guerra del Kosovo del 1999.
Tutto questo avviene nella totale distrazione dell’Occidente e nell’impotenza delle autorità internazionali che dovrebbero supervisionare il processo di pacificazione e sviluppo. E mentre si spalancano le porte dell’Europa all’Ucraina, i Balcani del sud — Serbia in testa — restano ancora nel limbo delle attese e delle promesse. L’esodo è incoraggiato dalla carenza di manodopera in alcuni Paesi d’Europa, come Austria e Germania. La combinazione di emigrazione e calo della natalità sta portando all’invecchiamento di queste società e, in assenza di immigrazione o di ritorni, al declino demografico. Nel 1989, i bulgari erano 8,9 milioni. Oggi sono solo 6,9 milioni. Trent’anni fa, la Serbia (senza il Kosovo) aveva 7,8 milioni di abitanti. Oggi sono solo 6,9 milioni. La Romania contava 23,2 milioni di rumeni. Nel 2020, il loro numero è stimato a 19,4 milioni. La Moldavia, che non terrà un censimento fino al 2023, ha probabilmente perso un terzo della sua popolazione dalla fine dell’era comunista, che attualmente è di 2,7 milioni. Per quanto riguarda le nascite, il numero medio di figli per donna è di 1,37 in Albania e 1,26 in Bosnia-Erzegovina — tra i più bassi al mondo. Le proiezioni degli statistici delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea stimano che entro il 2050 la Bulgaria avrà perso il 39% della sua popolazione rispetto al 1989, la Bosnia il 37%, la Romania il 31%, la Serbia e la Croazia il 24% e l’Albania il 25%.
Seimila albanesi hanno attraversato la Manica su gommoni nel 2022, una cifra in forte aumento a causa dell’arrivo dei contrabbandieri albanesi in un mercato un tempo dominato dai curdi. Stremati dalla povertà, molti sono fuggiti per raggiungere i parenti che sono partiti per il Regno Unito a volte 20 anni fa, quando alcuni sostenevano di essere rifugiati dalla guerra del Kosovo del 1998. Spesso cercano lavori onesti, ma sempre più giovani vengono attirati a lavorare nelle serre di cannabis create dalle bande albanesi, che ora controllano metà della fornitura di marijuana nel Regno Unito, dopo aver monopolizzato il mercato della cocaina, spiega un reportage del Wall Street Journal (qui un’analisi dal sito dell’Ispi). In alcuni villaggi come Has, i motivi per partire appaiono a ogni angolo di strada, dove le Bmw e le Audi immatricolate nel Regno Unito — spesso con targhe personalizzate [segno di ricchezza finanziaria] — appartengono a figli del Paese che sono tornati.
Per invertire l’esodo, alla fine di agosto il Regno Unito e l’Albania hanno firmato un accordo per accelerare i rimpatri, consentendo alla polizia albanese di Dover di confrontare le impronte digitali con le proprie banche dati. I trafficanti di droga albanesi con sede nel Regno Unito a volte ordinano omicidi a distanza in Albania. Due bande rivali di Elbasan [a sud-est di Tirana], che hanno creato reti di spaccio a Birmingham, Liverpool e in altre parti d’Europa, hanno commesso 13 omicidi nelle loro città d’origine tra il 2018 e il 2021, come parte di un regolamento di conti legato al presunto furto di 50 chili di cocaina a Londra. Il governo britannico sta ora cercando di affrontare il problema alla fonte, offrendo all’Albania fino a 8,9 milioni di sterline [circa 10,2 milioni di euro] per sviluppare la regione di Has e la città di Kukës, nella speranza di scoraggiare le partenze. Il Regno Unito potrebbe anche finanziare una nuova diga e una nuova prigione.
A Dobrunë, Alush Myzyraj, autista di scuolabus, dice che potrebbe essere troppo tardi: «Accompagnavo 40 bambini a scuola. Ora ce ne sono solo 8 e ho smesso, perché non ne vale la pena. Tutti sono nel Regno Unito, viva il Regno Unito». Gli alunni che sono ancora lì dovranno camminare per un’ora e mezza su una strada non asfaltata per raggiungere la scuola quest’inverno, avverte il sindaco. «Quando arriverà la neve, avranno un motivo in più per andarsene».
Come redazione de l’Unità2 ringraziamo la compagna Alessandra che ci ha segnalato questo ottimo articolo di Massimo Nava che ci permette di comprendere in profondità i disastri fatti prima con la guerra contro la Jugoslavia e poi con le politiche del dopoguerra dalle “democrazie” occidentali e dalla NATO destrabilizzando tutta l’area dei Balcani. Noi italiani con il governo D’Alema, ma anche con quelli venuti dopo, siamo stati tra i protagonisti nella guerra alla Jugoslavia e del disastro economico, politico e culturale di quella parte importante d’Europa. Oggi, i massocapitalisti occidentali con alla testa gli Usa, con la guerra in Ucraina daranno il colpo di grazia al Vecchio Continente e faremo la stessa fine dei popoli dei Balcani.
A tutto questo il rimedio c’è. Riprendere la lotta di Liberazione antifascista e antimperialista in tutta Europa. Cacciare gli Usa dall’Europa per diventare un continente neutrale che fa della pace e la cooperazione tra i popoli la sua linea guida in politica estera.