di Andrea Montella
Riprendiamo un articolo del Corriere della Sera sulle operazioni britanniche sui media italiani per gettare discredito su Berlinguer in vista delle elezioni del 1976. La stessa tecnica di condizionamento viene usata oggi dal terzetto USA/GB/NATO (uno e trino) sull’opinione pubblica europea per accreditare il governo nazifascista ucraino.
Uno dei giornalisti che ha fatto parte delle strutture delle guerra psicologica britannica descritte nell’articolo che segue, operative in Italia dalla seconda guerra mondiale, è stato Renato Mieli interno al PWB (Psychological Warfare Branch) e padre di Paolo, giornalista che da Potere Operaio è passato al massonico Aspen Institute in compagnia della Meloni, e ora ha il controllo della narrazione della storia e della politica atlantica a reti unificate. Un compito svolto con molta abilità e apparente equilibrio, utile però per la creazione del pensiero unico anticomunista e di rivalutazione dei nazifascisti. Infatti oggi al governo abbiamo l’erede dei repubblichini di Salò, Giorgia Meloni.
Questa narrazione disinformante non ha nulla a che vedere con il giornalismo, serve invece a produrre danni enormi nelle popolazioni, togliendogli la possibilità di farsi un’opinione corretta degli avvenimenti e dei fatti storici. Va contro quello che è affermato nell’articolo 21 della Costituzione, dev’essere quindi un terreno di lotta prioritario per i comunisti, che si batterono e si battono per far rispettare quell’articolo. Uno dei modi per garantire un’informazione corretta è quello di togliere i media dalle mani dei privati, quindi da coloro che ci privano, e dare il controllo economico e politico dell’informazione ai lavoratori del settore. E’ solo socializzando il modo di produzione di questo comparto che si può ottenere un’informazione il più oggettiva e veritiera possibile, in quanto scevra dai meccanismi inquinanti e dalle logiche derivanti dagli interessi egoistici legati alla proprietà privata dei mezzi di produzione. Come dimostra la Storia fake news e governi reazionari sono inseparabili.
Un esempio di manipolazione è quello di mettere alcune parole, come ha fatto il Corriere della Sera, con “- poi non attuato -“ che rispetto a ciò che è scritto nell’articolo hanno lo scopo di stravolgere la verità politica e sociale emersa nella realtà dei fatti.
«Londra cercò di screditare il Pci e Berlinguer prima delle elezioni del 1976»
La caduta del segreto su una serie di documenti svela il piano – poi non attuato – del Foreign Office: prevedeva di far circolare interviste «pilotate» e notizie in grado di «orientare l’opinione pubblica»
di Paola De Carolis tratto da www.corriere.it

L’ascesa del Partito Comunista Italiano e di Enrico Berlinguer negli anni 70 preoccupava Londra al punto che un’unità del ministero degli Esteri, l’Information Research Department (IRD), passò informazioni a giornalisti internazionali per cercare di screditare il politico e il suo partito. La notizia emerge dopo che è scaduto il periodo di segretezza su alcuni documenti che indicano l’esistenza di una campagna per influenzare il risultato delle elezioni del 1976, una campagna che venne attuata solo in parte perché non trovò l’appoggio politico necessario nel governo laburista di James Callaghan.
Nei documenti resi pubblici un funzionario dell’IRD, Peter Joy, si complimenta con un collega distaccato a Roma in seguito a un’intervista rilasciata da Berlinguer a Panorama, programma della Bbc. In particolare cita una frase utilizzata dal giornalista Richard Lindsey – «legame d’acciaio», un riferimento alla formula attribuita a Palmiro Togliatti sul rapporto tra il PCI e il partito comunista sovietico – come prova che il giornalista era stato guidato dal Foreign Office nella scelta delle domande poste all’uomo politico italiano. Lindsey aveva incalzato Berlinguer sull’indipendenza del partito da Mosca, sulla repressione politica nell’Unione sovietica, sull’impegno del PCI con la Nato e, nel caso dell’arrivo di una seconda guerra fredda, sulle lealtà del partito.
Se altre inchieste hanno dimostrato, come ha precisato ieri l’Observer, che l’IRD ha avuto una parte in eventi politici in Indonesia e in Kenya, ecco ora la prova dell’operato in Italia, messo in atto assieme all’MI6, ovvero l’intelligence del Regno Unito. Stando all’allora capo dell’IRD, Ray Whitney, a giornalisti considerati influenti veniva passato un dossier con informazioni anonime, un fascicolo che – facevano capire le autorità – era inteso per l’utilizzo dei diplomatici di Sua Maestà ma che veniva mostrato «a una manciata di altre persone che avrebbero potuto trovarlo interessante». Tra questi, oltre a Lindsey, il corrispondente del Financial Times e del Washington Post.
Mentre in Italia si avvicinavano le elezioni, nell’aprile 1976 il neo primo ministro Callaghan nominò agli Esteri Anthony Crosland. Stando ai documenti visti dall’Observer il Foreign Office spiegò al ministro entrante che «’non era troppo tardi»’ per «prevenire l’arrivo al potere in Italia dei comunisti». Diverse opzioni vennero presentate a Crosland: un «intervento chirurgico e pulito» venne bocciato perché «irrealistico». Il Foreign Office caldeggiò invece «una campagna» contro Berlinguer e il PCI basata su «una maggiore attività nel campo della propaganda segreta e meno».
In attesa del nullaosta di Corsland, una squadra partì per l’ambasciata di Roma per ««scoprire come influenzare l’opinione pubblica italiana». L’obiettivo era quello di minare la credibilità del partito. Tra le possibilità discusse c’era quella di fare credere alla gente che l’Alto Adige sarebbe tornato indipendente o all’Austria nel caso di una vittoria del partito comunista. A Roma però i diplomatici britannici avevano paura che troppi documenti avrebbero potuto imbarazzare il governo di Londra provando il suo coinvolgimento. Ecco allora che l’operazione passò alle spie dell’MI6. Il capo del bureau svizzero, Terry O’Bryan-Tear, reclutò il politico svizzero Franco Masoni il quale si impegnò a stampare materiale anticomunista nella Gazzetta Ticinese e a farne circolare 60.000 copie oltre le Alpi. A un mese dalle elezioni, però, Crosland non si disse convinto dei meriti dell’operazione, cui non diede il via. Sembra così che l’IRD abbia continuato ad agire in modo indipendente. Un documento del 3 giugno del 1976 indica che la trasmissione di opinioni anonime non necessitasse del permesso del ministro. Alla fine, la temuta vittoria del PCI non si materializzò e la propaganda in Italia fu l’ultima «avventura nera» dell’IRD, chiuso l’anno successivo dal nuovo ministro degli Esteri, David Owen.
BIOGRAFIA DI PAOLO E RENATO MIELI
Paolo Mieli nasce a Milano il 25 febbraio del 1949. Studia al liceo classico di Roma Torquato Tasso; partecipa al movimento del ’68 militando in Potere Operaio con Toni Negri, Franco Piperno e Oreste Scalzone.
È stato allievo e poi assistente all’università di Renzo De Felice, il revisionista storico per eccellenza, che ha operato nel secolo scorso, riabilitando il ruolo del fascismo e di Mussolini nella coscienza nazionale.
Paolo Mieli ha svolto essenzialmente due professioni fondamentali per la veicolazione delle idee dei massocapitalisti: il giornalista e lo storico revisionista.
Paolo Mieli inizia la sua carriera di giornalista all’Espresso, dove lavora per una quindicina d’anni. Poi Eugenio Scalfari, nel 1985, lo chiama a la Repubblica in quel periodo dei De Benedetti-Caracciolo-Rothschild, oggi degli Elkann-Rothschild, pensando di aver trovato il suo erede, ma dopo poco cambia idea e Mieli passa a La Stampa, giornale della famiglia Agnelli (Lazard-Elkann/Rothschild). Nel 1990 ne diventa direttore, sostituendo Gaetano Scardocchia; Mieli portò a La Stampa, Ezio Mauro, l’ex direttore de la Repubblica. A La Stampa eliminò tutto il vecchio staff, modificò l’impostazione del giornale mettendo sulla prima pagina notizie di costume, la cronaca, le curiosità e la storia da lui revisionata, continuando quel processo iniziato con il suo maestro di lenta e progressiva equiparazione tra destra e sinistra, con il sotteso intento di togliere valore alla sinistra per spostarlo sulla destra.
Operazione culturale interna al paradigma sulla fine delle ideologie, che ha lo scopo di farne rimanere una sola quella capitalista.
Tra i nuovi collaboratori de La Stampa, Mieli chiama il filosofo Marcello Pera (la cortesia viene resa da Pera come presidente del Senato quando ne chiede la nomina al vertice della Rai).
La trasformazione operata a La Stampa fece dire a Giovanni Agnelli che Mieli aveva messo la minigonna al quotidiano e se ne congratulava; questa tendenza viene sviluppata da Mieli quando è chiamato, nel 1992, a dirigere il Corriere delle Sera dove utilizza le fotografie e la titolazione in modo da rendere più superficiale la lettura del giornale che non andava oltre, il titolo, l’occhiello e il sottotitolo, bypassando così l’approfondimento contenuto nell’articolo, in perfetta linea con i dettami della TV commerciale del piduista Berlusconi.
Paolo Mieli viene preferito alla guida del Corriere al posto di Giulio Anselmi, vice del direttore uscente Ugo Stille, perché giudicato troppo anticraxiano direttamente da Craxi che gli oppone il veto.
Mieli è stato recentemente vittima di un episodio di razzismo: una scritta in cui si ricordano le sue origini ebraiche è comparsa sui muri della Rai di Milano, in occasione della sua candidatura alla presidenza della TV di Stato; è interessante vedere che sul Corriere della Sera nel ’97, nel periodo della sua direzione, viene raggiunto il massimo uso del termine dispregiativo “vu’ cumprà” riferito alle persone provenienti dall’Africa: 28 volte nei testi, 9 volte nella titolazione e anche in una vignetta.
Il Corriere aveva iniziato questa campagna di stampo razzista il 27 agosto ’87; è chiaro che se il più importante quotidiano nazionale attacca degli esseri umani declassandoli favorisce l’insorgere di quei fenomeni culturali che poi in politica trovano sponda nei partiti razzisti e fascisti, che fanno leva sull’ignoranza e i pregiudizi per spostare a destra il quadro politico.
La famiglia Mieli nel lavorare per i massocapitalisti ha una vera tradizione: il padre Renato, fisico-matematico, giornalista è stato direttore dell’edizione milanese dell’Unità, si allontanerà dal Partito Comunista Italiano nel 1956 dopo i fatti d’Ungheria, ma anche perché il partito aveva saputo dei suoi rapporti – fin dai tempi della Resistenza – con il Psychological Warfare Branch (PWB), settore dei servizi segreti, guidato in Italia dall’ufficiale Michael Noble, struttura che si occupa della guerra psicologica, ovvero di manipolare l’opinione pubblica utilizzando qualsiasi mezzo di comunicazione. Il nome in codice di Renato Mieli è “Colonnello Merryl” e con quel ruolo di agente segreto britannico sarà messo ai vertici dell’Information Research Department (IRD) e avrà il compito di fondare alcuni giornali e nel 1945 la più grande agenzia di stampa italiana, l’Ansa.
Tra i giornali controllati dal PWB c’è anche il Giornale Lombardo che passerà a Edgardo Sogno diventando il Corriere Lombardo coi soldi dei massocapitalisti della Fiat, della Edison, della Snia, della Montecatini e della Rizzoli.
Renato Mieli parteciperà a Roma, nel 1965, al convegno all’Hotel Parco dei Principi e promosso dall’Istituto Alberto Pollio dal titolo La guerra rivoluzionaria, in cui gli organizzatori si proponevano lo studio critico della “guerra rivoluzionaria”, cioè dell’offensiva del comunismo a livello mondiale. L’Istituto Pollio, finanziato dal Servizio Informazioni Forze Armate (SIFAR), invita per quel convegno anche venti studenti universitari tra i quali i fascisti Stefano Delle Chiaie e Mauro Michele Merlino, in seguito colpiti da mandato di cattura per la strage di Piazza Fontana. Tra i relatori Guido Giannettini, i repubblichini Enrico De Boccard e Pino Rauti del Centro Studi Ordine Nuovo su La tattica della penetrazione comunista in Italia. Subito dopo prende la parola Renato Mieli che nel suo intervento: L’insidia psicologica della guerra rivoluzionaria in Italia dice: «Dovremmo adoperarci perché i comunisti conoscano se stessi. L’esperienza del comunismo porterà il comunismo al suo dissolvimento e possiamo trovare il punto debole del comunismo proprio all’interno del comunismo stesso. Dobbiamo contrapporre una nuova strategia più efficace alla strategia comunista se vogliamo dissolvere il mondo comunista che si presenta compatto e minaccioso, ma che in verità non è così compatto come si crede anche se è molto minaccioso».
Tutto quello che in Italia puzza di reazione trova presente Renato Mieli che partecipa all’ARCES (Associazione per il Rinnovo della Cultura dell’Economia e della Società) struttura messa in piedi dalla destra intellettuale per arginare i comunisti anche dal punto di vista culturale. Questa Associazione verrà appoggiata anche dalla destra cattolica di Civiltà Cristiana; nel Consiglio dell’Associazione entreranno a fianco di Renato Mieli: Renzo De Felice (docente del figlio Paolo) Domenico Bartoli, Sergio Ricossa, Luigi Barzini, Enzo Bettiza, Cesare Zappulli, Gustavo Selva (P2), Alberto Ronchey. Segretario generale Lino Caputo, altri aderenti Giuseppe Are, Sergio Cotta e Pietro Bucalossi. Strumento della propaganda sarà il Giornale nuovo, di Indro Montanelli che il 29 marzo 1977 dirà: «Una nuova alleanza di intellettuali che non si arrendono al compromesso storico».