di Paola Baiocchi

Platone considerava la politica un affare troppo serio e complicato perché potesse essere lasciato «alla cura della gente comune».
Le elezioni del 25 settembre saranno la messa in pratica sia del pensiero élitario platonico, che dell’ambizione dei politici di carriera della seconda Repubblica di decidere la composizione del Parlamento prima che i cittadini vadano alle urne. E saranno elezioni in cui, in buona sostanza, si vedrà la realizzazione del Piano di rinascita della P2.
Ha scritto il costituzionalista Gaetano Azzariti in una lettera a il Manifesto: «Con il deposito delle liste i segretari dei partiti hanno di fatto “eletto” il prossimo Parlamento» e, a parte qualche esclusione, certo è che «nessuna scelta è rimessa all’elettore 1», grazie al Rosatellum, la legge elettorale in vigore, che prende il nome del suo relatore Ettore Rosato del Pd, e utilizza un procedimento «in palese conflitto con i principi enunciati dalla Consulta che aveva chiarito, senza possibilità d’equivoco, che i sistemi elettorali non possono giungere a privare l’elettore di ogni potere di scelta dei propri rappresentanti ed assegnare per intero la “nomina” dei parlamentari alle decisioni dei partiti nella composizione delle liste2»
LA STORIA DELLA LEGGE ROSATO
Approvata in via definitiva al Senato il 26 ottobre 2017, con il voto favorevole di Partito Democratico, Forza Italia, Lega Nord, Alternativa Popolare, Alleanza Liberalpopolare-Autonomie, con altre formazioni minori e promulgata il 3 novembre 2017, la legge Rosato – a cui è stato appioppato l’orribile finto nome latino di Rosatellum – sostituisce la precedente legge elettorale italiana del 2015 nota come Italicum (valida solo per la Camera dei deputati) e la previgente legge Calderoli, soprannominata Porcellum dallo stesso Calderoli che l’aveva definita «una porcata» (in vigore per il Senato della Repubblica e non abrogata dall’Italicum), ambedue soggette a pronunce di parziale incostituzionalità da parte della Corte costituzionale.
Un impianto affastellato di illegalità ma funzionale agli interessi dei massocapitalisti.
La legge Rosato è stata utilizzata nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018. Non è stata varata una nuova legge elettorale dopo la riduzione di 345 parlamentari – promossa dal Movimento 5 Stelle e votata nel referendum del 20-21 settembre 2020 – che ha portato il numero dei deputati a 400 e dei senatori a 200. E’ stato fatto solo un piccolo correttivo: quello di uniformare l’elettorato attivo di entrambe le camere, per cui oggi un diciottenne può votare sia per la Camera che per il Senato.
Non sono stati introdotti correttivi3 ai regolamenti interni alle Camere e anche questo comporterà problemi per tutte le procedure che prevedono la presenza di un numero fisso di parlamentari, come i quorum o la formazione di gruppi parlamentari che diventeranno più complesse.
Per esempio «…se prima era necessario un minimo di 20 deputati su 630 per formare un gruppo, ovvero il 3% della composizione della Camera, ora la quota minima da raggiungere è il 5% (e un ragionamento analogo si può applicare al Senato). Questa soglia di sbarramento implicita significa che saranno necessarie una maggiore aggregazione delle forze politiche e la formazione di coalizioni ampie4».
IL SUO MECCANISMO ANTIDEMOCRATICO
Il Rosatellum è un sistema elettorale maggioritario con due soglie di sbarramento (più quella implicita che abbiamo appena visto) e una parte di proporzionale: un terzo dei seggi di Camera e Senato viene assegnato con un sistema maggioritario (chi prende più voti vince nel collegio) e gli altri due terzi con un sistema proporzionale attraverso un meccanismo di listini bloccati.
Sui 600 parlamentari che verranno eletti in questa tornata 367 parlamentari (245 deputati e 122 senatori) saranno eletti in proporzione ai voti ricevuti dai singoli partiti a livello nazionale.
Solo 147 deputati e 74 senatori verranno scelti in un collegio uninominale, dove non si potrà scegliere un candidato, ma solo mettere una croce su uno dei nomi che troveremo sulla scheda. Unica risibile differenza rispetto al voto di una lista bloccata.
Sulla scheda l’elettore non potrà scindere il suo voto, dandolo a un partito nell’uninominale e al candidato di una diversa lista nel maggioritario.
Si crea così un effetto “travaso” da candidati di richiamo, magari molto conosciuti per le lotte che hanno condotto, verso capilista che spontaneamente non si sceglierebbe di votare.
Per esempio a Bologna chi vorrà votare nel proporzionale Aboubakar Soumahoro, il sindacalista di formazione gramsciana presidente della Lega braccianti, candidato per Sinistra Italiana e Verdi, voterà in automatico anche Pier Ferdinando Casini, democristiano poi Udc, alleato di Berlusconi e fondatore del movimento Centristi per l’Europa. Una miscela inconciliabile.
LE SOGLIE DI SBARRAMENTO
Per la parte proporzionale i seggi sono spartiti tra le liste che ottengono almeno il 3%. Ogni lista ha uno sbarramento nazionale del 3%, mentre le coalizioni lo hanno al 10%. I partiti che fanno parte di una coalizione e che prendono tra l’1 e il 3% riversano i loro voti, proporzionalmente, alle altre liste della stessa coalizione che hanno superato il 3%. I voti delle liste che rimangono sotto l’1% andranno completamente persi. Un altro meccanismo per deviare i voti verso destinazioni diverse rispetto agli intenti dell’elettore.
IL TRUCCHETTO DELLE PLURICANDIDATURE
Nei loro giochini di risiko i partiti hanno scelto di utilizzare molto le pluricandidature, cioè presentare contemporaneamente lo stesso nome in un collegio uninominale e in cinque plurinominali.
Per aggirare per esempio l’obbligo dell’alternanza uomo-donna, la lista Noi moderati (Lupi, Toti, Brugnaro) ha presentato Martina Semenzato, imprenditrice e collaboratrice del sindaco di Venezia Brugnaro, capolista in cinque circoscrizioni dal Veneto alla Puglia e in un collegio uninominale. Questo vuol dire che a correre saranno i realtà i secondi della lista, tutti uomini.
In un articolo su il Corriere della Sera dello scorso 24 agosto, Antonio Polito, fa degli altri esempi: a Roma Forza Italia presenta Berlusconi capolista, la Bernini al secondo posto e al terzo Gasparri. In questo modo Bernini e Berlusconi faranno da “lepre” perché verranno eletti altrove e il voto andrà a Gasparri.
«Insomma – dice Antonio Polito – l’elettore mette la croce, ma non sa su chi e che uso verrà fatto del suo voto».
CONSIDERAZIONI
Tutti i partiti hanno scelto i loro candidati in base alla fedeltà espressa al capo. Lo ha fatto il Pd, che ha orgogliosamente rivendicato di aver per primo completato le liste, compilate tutte nel chiuso della segreteria.
Ma lo ha fatto anche il M5S, perché Conte ha di fatto scavalcato i risultati delle “parlamentarie” online, anteponendo i suoi 15 prescelti. «C’è da chiedersi – conclude Polito – se partiti così poco democratici possano dar vita a una democrazia forte. Sempre meno, è la risposta».
Un sistema del genere, in cui i cittadini vengono definitivamente allontanati dalla scelta dei candidati, pensiamo possa produrre un grande astensionismo, in quanto i cittadini percepiscono l’inutilità del loro voto, a cui possiamo aggiungere che il sistema elettorale è incostituzionale, come argomenta Azzariti:
«L’incostituzionalità del sistema di designazione dei candidati da parte dei partiti nasce dal fatto che la normativa attuale finisce per travolgere la stessa ragion d’essere della “rappresentanza politica”, che deve essere individuata nella instaurazione di un “rapporto” tra elettore ed eletto. Ora, invece, l’eletto non deve più rispondere al corpo elettorale, neppure a quella parte di esso che lo ha scelto preferendolo ad altri candidati. Egli deve la propria elezione esclusivamente al segretario di partito ovvero agli equilibri che governano la vita interna alle forze politiche: sono essi che lo hanno collocato dentro una lista bloccata o in un collegio uninominale in una posizione (più o meno) sicura.
Il rapporto con il territorio sfuma, così come le capacità e il ruolo delle singole personalità politiche diventano irrilevanti; da qui le proteste contro i candidati “paracadutati” o spostati da una regione ad un’altra come in un gioco di figurine. Non sono più gli elettori a decidere, e dunque non è a questi che bisogna più guardare.
La rappresentanza diventa un rapporto di natura privatistica, tra leader e candidato. Nello svolgimento del mandato il parlamentare dovrà rispondere a chi lo ha designato e dal quale dipenderà l’eventuale conferma al termine della legislatura. Mentre la Costituzione si preoccupa di svincolare l’eletto da eventuali obblighi nei confronti dell’elettore (il principio del “libero mandato”, ex art. 67 Cost.), si affermano in via di fatto vincoli politici di natura privatistica tra “rappresentanti della nazione” e singoli leader».
1 G. Azzariti https://ilmanifesto.it/il-parlamento-dei-nominati-i-signori-delle-liste-e-i-loro-vassalli
2 ibidem
3 https://www.orizzontipolitici.it/cosi-il-taglio-dei-parlamentari-puo-creare-il-caos-elettorale/
4 ibidem