di Gaetano Bucci, tratto da “Il costituzionalismo democratico moderno può sopravvivere alla guerra?” Atti del Seminario di Roma 1° aprile 2022
Sommario: 1. L’elusione della procedura di formalizzazione e controllo della guerra prevista dalla Costituzione. – 2. La lesione del profilo contenutistico dell’art. 11 Cost. – 3. L’attualità del diritto di resistenza costituzionale.
1. L’elusione della procedura di formalizzazione e controllo della guerra prevista dalla Costituzione
Si è osservato come nel dibattito parlamentare sulla guerra in Ucraina, il principio pacifista non siano mai stato richiamato1. Esso non è stato evocato né nell’informativa e nelle comunicazioni rese dal Presidente del Consiglio alle Camere2, né nella risoluzione adottata dalle Camere, la quale impegna il Governo a provvedere alla «cessione di apparati e strumenti militari che consentano all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione»3.
Con riferimento a tale risoluzione, si è rilevato come le sue enunciazioni vaghe si traducano di fatto in una «delega in bianco al Governo di un aspetto cruciale dell’esercizio della funzione parlamentare di indirizzo» in una materia connessa alla salvaguardia dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti dalla Costituzione4.
La risoluzione parlamentare è intervenuta comunque ad avallare le decisioni assunte dal Governo tramite l’adozione di due Decreti-Legge5, che hanno autorizzato la cessione di mezzi materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina, in deroga6 alle disposizioni di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 1857, la quale vieta la cessione di armi o la consente solo nel rispetto di vincoli stringenti – dovendosi trattare di armi obsolete, di natura difensiva8 – ed in ogni caso previo parere vincolante delle Camere.
La deroga9 ha riguardato anche la L. 145/201610, incidendo sia sull’art. 23 che prevede la cessione di mezzi e materiali», ma non di «materiale d’armamento», sia sul suo impianto complessivo imperniato su di «un procedimento che aveva come chiave di volta l’autorizzazione delle Camere alla partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali»11.
In continuità con la tendenza affermatasi a partire dalla prima Guerra del Golfo, il Parlamento è stato coinvolto contestualmente o, per meglio dire, successivamente12 all’adozione – da parte del Governo – di rilevanti decisioni in materia di politica militare, come è avvenuto, appunto, nel caso della «cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative dell’Ucraina»13.
Con l’adozione dei due decreti-legge, il Parlamento è stato posto infatti dinanzi ad «un fatto compiuto»14, che ha costretto i suoi poteri di intervento e di decisione negli angusti margini del procedimento di conversione (art. 77, co. 2, Cost.)15.
Con l’approvazione della risoluzione che ha delegato al Governo ogni rilevante decisione in materia di politica militare, il Parlamento ha omesso di esercitare le funzioni di indirizzo e di controllo assegnategli dalla Costituzione. La risoluzione parlamentare che ha convalidato la decisione del Governo relativa alla «cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari» in deroga alle leggi vigenti16, non risulta tuttavia idonea a conferire legittimazione all’azione del governo, che resta dunque priva di un’effettiva copertura legale.
Per il nostro ordinamento costituzionale «un’adeguata legittimazione all’azione di governo» in materia di «azioni di tipo militare all’estero», può derivare infatti solo da «un’effettiva copertura legale», che può realizzarsi unicamente per il tramite dell’adozione di una legge ordinaria17 la quale, in conformità alla previsione dell’art. 78 Cost., deliberi «lo stato di guerra», conferendo «al Governo i poteri necessari» per «adottare decreti legge» finalizzati a fronteggiare «l’emergenza bellica»18.
L’approvazione parlamentare di qualunque «intervento militare attraverso l’impiego di strumenti diversi dalla legge» – come le risoluzioni o le mozioni – «costituisce, dal punto di vista giuridico, un evidente tentativo di aggiramento della riserva di legge […] contenuta nell’articolo 52, comma 3, Cost. e del principio di legalità sotteso all’art. 97 Cost»19.
Sulla base della previsione dell’art. 1, co. 2, D. L. 16/2022 è stato poi adottato un Decreto interministeriale (2 marzo 2022), che ha conferito al Ministro della Difesa – di concerto con il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze – il potere di definire «l’elenco dei mezzi, dei materiali e degli equipaggiamenti militari oggetto della cessione, nonché delle modalità di realizzazione della stessa»20.
Un Decreto che è stato corredato da un allegato contenente l’elenco degli armamenti ceduti all’Ucraina, il quale non è stato tuttavia pubbli- cato, poiché secretato ai sensi dell’art. 1, co. 1, del D. M. Difesa del 2/2/202221.
La procedura di formalizzazione e controllo della guerra prevista dalla Costituzione che prevede la deliberazione dello stato di guerra da parte del Parlamento, il conferimento dei poteri necessari al governo (art. 78 Cost.) e la dichiarazione dello stato di guerra da parte del Presidente della Repubblica (art. 87, co. 9, Cost.) è stata quindi ancora una volta aggirata22, sicché le decisioni sulle modalità d’uso della forza nell’ambito delle missioni militari all’estero sono state adottate, di fatto, dal Governo, conseguendo così l’effetto di accrescere le distorsioni della forma di governo, già provocate dalle leggi di revisione costituzionale e dalle leggi ordinarie adottate nell’ultimo trentennio.
Ci troviamo, insomma, nuovamente di fronte ad una decisione di «guerra non formalizzata» che, pur in presenza della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione, ha vulnerato il potere di indirizzo e di controllo del Parlamento in rilevanti materie come quelle di politica estera e di difesa23.
La rimozione delle procedure previste dall’art. 78 Cost. appare particolarmente grave, poiché la deliberazione sullo stato di guerra «assolve alla funzione di assicurare alla valutazione dell’organo di rappresentanza democratica la decisione circa l’impatto sull’ordinamento interno e quindi sulla condizione complessiva dei cittadini, […] sottraendola in particolare all’esclusiva disponibilità dell’esecutivo»24.
Una funzione fondamentale per un ordinamento costituzionale che mira a garantire la realizzazione dei diritti sociali come premessa per il pieno sviluppo della persona e per l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3, co. 2, Cost.).
Il Parlamento, invece, oltre ad aver convalidato mediante la conversione dei due Decreti- Legge e l’approvazione di una risoluzione, la decisione del Governo di inviare le armi in Ucraina, ha adottato un ordine del giorno che autorizza l’incremento delle spese militari fino al 2% del PIL (3, 5 del bilancio dello Stato) ed al tempo stesso ha approvato, tramite un’altra risoluzione, il Documento di Economia e Finanza, che prevede una diminuzione della spesa sanitaria di 6 miliardi nell’arco di due anni, pur nel contesto della grave crisi economico-finanziaria acuita dagli effetti della crisi pandemica25.
2. La lesione del profilo contenutistico dell’art. 11 Cost.
Il vulnus inferto alla Costituzione non riguarda, tuttavia, tanto il profilo formale-procedimentale poiché le disposizioni contenute negli artt. 78 e 87 riguardano solo l’ipotesi della guerra di legittima difesa del nostro territorio nel caso in cui fosse aggredito da altri Stati26. La lesione più grave, dal punto di vista costituzionale, riguarda il profilo contenutistico dei principi fondamentali, ovvero il principio del ripudio della guerra ed il connesso principio pacifista.
Le decisioni di fornire le armi e di aumentare le spese militari sono state adottate, in realtà, dal Governo nelle sedi della NATO e in specie nel Summit straordinario della NATO tenutosi il 25 febbraio del 2022 in videoconferenza, i cui esiti sono stati in seguito recepiti prima in alcune decisioni dell’UE (v.: dec. nn. 238 e 239) ed in seguito trasfusi nel D. L. n. 14/2022 e nel D. L. n. 16 del 2022.
Nella fase attuale sembra insomma che i vincoli internazionali legati alla Alleanza Atlantica (NATO), abbiano ormai sostituito quelli stabiliti dalla Costituzione e dallo Statuto dell’ONU, come rivela il discorso rivolto dal Presidente del Consiglio alle Camere, nel quale l’art. 11 non è stato mai richiamato, mentre la NATO è stata evocata per ben sei volte27.
Un’impostazione che pare presupporre l’accoglimento di quell’orientamento dottrinale che ritiene possibile il ricorso all’uso della forza militare, individuandone il fondamento in quella parte dell’art. 11 Cost che prevede la partecipazione dell’Italia alle «organizzazioni internazionali» volte a garantire la pace e la giustizia, ovvero di quell’indirizzo che considera l’art. 11 alla stregua di «un Giano bifronte», ossia come una disposizione composta da due parti ed imperniata su due principi – quello pacifista e quello internazionalista – che, a seconda delle circo- stanze prospettate dalla storia, consentono il ripudio o la legittimazione della guerra28.
Si è osservato insomma come si sia progressivamente imposta l’opinione secondo cui il principio del ripudio della guerra debba essere interpretato in conformità ai vincoli previsti dai Trattati internazionali e si sono addotte, come esempio di tale impostazione, le opinioni espresse in alcuni editoriali del Sole 24 Ore nei quali si è sostenuto che tale problematica debba essere rapportata alle disposizioni contenute nell’articolo 117 Cost., il quale sancirebbe il primato dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali e tra questi in specie quelli derivanti dall’organizzazione militare della NATO.
A tali orientamenti si è giustamente replicato, osservando come l’art. 117 Cost. preveda che la potestà legislativa debba essere esercitata dallo Stato e dalle Regioni, ma in primo luogo, nel rispetto della Costituzione e, successivamente, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli ordinamenti internazionali29.
Occorre chiedersi, tuttavia, se tra questi vincoli possano essere com-prese anche «le dichiarazioni di intenti espresse nei vertici NATO», le quali non possono essere invero considerate rientranti nel «diritto internazionale generale» o nei «trattati internazionali».
Un trattato adottato in sede NATO che prevedesse l’impegno a realizzare determinati investimenti nella difesa e stabilisse i connessi «oneri alle finanze», dovrebbe essere sottoposto infatti «all’approvazione del Parlamento con legge di autorizzazione alla ratifica ai sensi dell’art. 80 della Costituzione», sicché il Parlamento sarebbe libero di ratificare o no il trattato.
Le dichiarazioni di intenti costituiscono invece degli eventi politici, che non possono «in alcun modo pregiudicare la libertà del Parlamento di allocare le risorse del bilancio pubblico», se è vero che l’Italia sia ancora da considerarsi «uno Stato sovrano»30.
Occorre rilevare, del resto, come l’art. 11 Cost ammetta la possibilità di introdurre «limitazioni di sovranità», ma solo a favore di «organizzazioni internazionali» volte ad assicurare «la pace e la giustizia fra le Nazioni», quali, appunto, l’ONU che non può essere assimilata alla NATO, la quale persegue il fine di contrastare la guerra con l’uso della forza delle armi, rivelandosi pertanto inidonea a conseguire gli obiettivi supremi prescritti dallo stesso art. 11.
Si è osservato infatti come «il richiamo all’ONU», sia «del tutto esplicito ed anche «storicamente fondato» nell’ambito dell’art. 11 Cost., come rivela la lettura degli «atti dell’Assemblea costituente, dai quali non può evincersi alcun riferimento alla NATO ed ai vincoli di natura militare che essa comporta31.
Per l’art. 11 Cost., la promozione di organizzazioni internazionali e le connesse limitazioni di sovranità devono perseguire, insomma, l’unico fine del ripudio della guerra, come premessa essenziale per garantire il perseguimento della pace e della giustizia tra le Nazioni32.
Ed invece dalla fase successiva al delitto Moro, la dottrina della “sovranità limitata” mai formalmente enunciata dalla NATO, è stata praticata in forma occulta per perseguire fini contrastanti con quelli della Costituzione e della Carta dell’ONU33.
A partire da quel tragico evento, il nostro Paese ha sempre infatti adempiuto supinamente a qualsiasi impegno assunto in sede NATO, come rivelano il caso delle ”guerre preventive” in Iran, Iraq ed Afghanistan, quello del c.d. “intervento umanitario” in Kosovo ed infine quello dell’intervento “pacifista” a sostegno delle “autorità governative dell’Ucraina”, che si è tradotto nell’invio di armi distruttive della stessa popolazione ucraina34.
Una decisione contrastante con il ripudio della guerra sancito dall’art. 11 Cost., in quanto destinata ad inasprire il conflitto armato e non a risolverlo.
L’invio di armi deciso dal Governo con i due decreti-legge, si pone quindi in continuità con la prospettiva della “guerra giusta” e dell’“intervento umanitario” utilizzata per violare il principio della pace sancito dalla Costituzione e dalla Carta dell’ONU35.
Dalla fine del secolo scorso, i governanti sono riusciti del resto a radicare un linguaggio obliquo che evoca la pace pur quando si realizzano interventi di forza armata, il quale ha provocato un’estensione della nozione di guerra, rendendo confusa e fragile la pur netta distinzione tra “guerra dichiarata” e “guerra non dichiarata” delineata dalla Costituzione36.
Questo problema è divenuto particolarmente pregnante con la ridefinizione del ruolo della NATO realizzata al tempo della guerra in Kosovo, quando è stata introdotta mediante accordi non formalizzati in trattati, la possibilità di porre in essere «azioni al di fuori dell’art. 5» del Trattato Nato37.
Un «escamotage – a valenza e spettro larghissimi – che è stato usato al fine di non dover precisare i compiti e specie al fine di evitare una riscrittura dei trattati con conseguenti voti parlamentari». Si tratta, insomma, di quell’«espediente finora escogitato con successo dai Capi di stato di governo e dalle burocrazie d’ogni specie» – ossia da «quel mondo variegato e multilivello denominato complesso militare-industriale – per evitare di andare ai Parlamenti, di dare la parola ai popoli»38
La NATO da organizzazione di natura difensiva è stata trasformata dunque in una organizzazione di natura quasi difensiva ed anzi aggressiva finalizzata a porre in essere azioni militari di tipo preventivo in nome di “finalità umanitarie”, che si pongono in contrasto con lo spirito e gli obiettivi dell’art. 11 della Costituzione39.
Un processo avviato a seguito della dissoluzione dell’URSS che ha visto la NATO assumere progressivamente un’egemonia militare nella lotta contro il terrorismo internazionale, giungendo a divenire dapprima il fattore propulsivo dell’edificazione di un nuovo ordine globale ed oggi – nel nuovo mondo multipolare – a porsi come il supremo difensore della civiltà occidentale nella sfida contro il mondo orientale, secondo le parole usate dal Segretario generale della NATO Stoltenberg40.
Dinanzi a tali trasformazioni del ruolo e delle funzioni della NATO, gli organi costituzionali deputati a garantire l’attuazione dei Principi fondamentali della Costituzione, dovrebbero porsi il problema di valutare la consonanza delle strategie e delle scelte adottate da questa organizzazione con i suddetti Principi e specie con quello pacifista (art. 11 Cost.)41, che costituisce un principio «supremo» dell’ordinamento, «in quanto tale «inderogabile» ed «irrivedibile» e capace pertanto «di vincolare l’azione di tutti i pubblici poteri e di prevalere automaticamente su qualsiasi altra fonte del diritto interna o internazionale»42.
L’unico tipo di guerra giuridicamente legittima per la Costituzione è infatti quella difensiva «posta in essere in relazione ad una altrui azione militare sorretta da animus bellandi», mentre sono da ritenersi vietate tutte le altre manifestazioni belligeranti come le aggressioni, le rappresaglie, l’invio di armi a Paesi belligeranti, fino alla stessa minaccia dell’uso della forza43.
Il principio pacifista44 costituisce il punto unificante di una visione costituzionale democratica-sociale, poiché connette a sé tutti gli altri principi che perseguono il fine di garantire il pieno sviluppo della persona umana, la pari dignità sociale e l’eguaglianza formale e sostanziale45.
Il diritto alla pace ed il ripudio della guerra si collegano quindi con i principi di emancipazione sociale, che impediscono di isolare le questioni nazionali da quelle sovranazionali e mondiali e che legittimano pertanto le lotte dei popoli per la libertà e per la giustizia sociale.
La partecipazione – sia pur “per procura” – del nostro Paese alla guerra in Ucraina non concretizza quindi la mera violazione di una nor- ma costituzionale, ma in ragione degli effetti imprevedibili e duraturi che dalla guerra deriveranno, provoca la lesione di tutti gli altri principi fondamentali e dei diritti inviolabili ad essi connessi, i quali non sono suscettibili di ablazione, di negoziazione, di compressione e di deroga da parte degli esecutivi nazionali, sovranazionali ed internazionali.
3. L’attualità del diritto di resistenza costituzionale
Di fronte alla rottura del patto costituzionale democratico-sociale fondato sullo stretto nesso tra la pace e la giustizia sociale, torna di attualità la tematica del diritto di resistenza, ovvero di quel diritto secondario che può essere esercitato solo quando i diritti primari di libertà e di giustizia sociale sono stati violati dai governanti.
Costantino Mortati ha sostenuto che tale diritto trae legittimazione dal principio di sovranità popolare che, essendo fondato sull’adesione attiva dei cittadini ai valori ed ai principi sanciti dalla Costituzione, li abilita ad assumere la funzione della loro difesa quando ciò si appalesi necessario per l’insufficienza e la carenza degli organi ad essa preposti46.
Con la surrettizia decisione di entrata in guerra – pur se qualificata “pacifista” e pur se condotta “per procura” – si è consumata una drammatica rottura del patto democratico che legittima le donne e gli uomini eletti in Parlamento a rappresentare la Nazione.
In un documento approvato dal Consiglio Nazionale di Magistratura democratica il 13 gennaio del 1991, si legge che: «di fronte alla violazione dei principi fondamentali di un ordinamento, spetta ai cittadini un diritto di resistenza collettiva, secondo le tradizioni ed i metodi della non violenza», ossia un diritto di resistenza che dev’essere esercitato in coerenza con i principi fondamentali della Costituzione ed in primo luogo con il principio pacifista.
Nell’orizzonte dell’art. 11 Cost. e nelle articolazioni del pluralismo sociale ed istituzionale, occorre pertanto far crescere un movimento pacifista capace di far sentire la voce dei cittadini-lavoratori e di connettere le lotte per il diritto di pace a quelle per il diritto al lavoro ed all’ambiente.
Tra gli strumenti costituzionalmente legittimi, occorre richiamare il diritto di sciopero generale nazionale ed europeo, il cui esercizio risulta estremamente necessario per spingere i governanti a convocare una Conferenza internazionale sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa e nel mondo, che potrebbe costituire l’unica via per ristabilire la pace e per ricostruire un diritto coerente con principi del costituzionalismo democratico moderno47.
I costituzionalisti democratico-sociali non dovrebbero limitarsi pertanto a svolgere la pur indispensabile funzione di individuare le distorsioni costituzionali realizzate dai governi al fine di imporre politiche militari lesive delle norme e delle procedure costituzionali, ma dovrebbero svolgere anche la funzione di elaborare proposte volte a potenziare la sovranità popolare e quindi la partecipazione dei cittadini alle decisioni che riguardano i rapporti internazionali e la politica militare, le quali coinvolgono diritti fondamentali degli individui e della collettività, come quelle che riguardano, appunto, il diritto di pace, il quale non costituisce un diritto alla mera sopravvivenza di fronte alle minacce di un olocausto, bensì il fondamento di una vita libera e socialmente dignitosa.
Mi limito a richiamare, a titolo di esempio, la proposta avanzata, nel 1982, dal senatore Raniero La Valle relativa all’istituzione di un referendum popolare di tipo politico-deliberativo per stabilire se consentire o no l’installazione di missili a testata nucleare sul territorio nazionale.
La proposta esprimeva la necessità, avvertita dai movimenti di lotta per la pace, di istituire una forma di intervento democratico risolutivo volto a scongiurare gli effetti disastrosi connessi ai processi decisionali attivati in modo incontrollabile dagli organi di vertice dello Stato in sede NATO.
Si proponeva, in particolare, l’intervento di una decisione popolare definitiva volta ad investire una “decisione esecutiva del governo” (come quella di installare missili o di inviare armi)48, collegata ma autonoma rispetto agli indirizzi ed ai vincoli di natura militare derivanti dai Trattati cui l’Italia aderisce (Trattato NATO), i quali sono esclusi per espressa previsione della Costituzione dalle materie sottoponibili al referendum.
Ciò che è rilevante riconoscere è come muovendo dalle potenzialità espansive del principio della sovranità popolare, si possano prospettare i lineamenti di un nuovo tipo di potere non più fondato sul dominio degli esecutivi nazionali, sovranazionali ed internazionali sulla società, ma su una organizzazione sociale autonoma, politicamente sovrana e socialmente emancipatrice.
Si tratterebbe, insomma, di riproporre contro l’attuale riduzione della politica a guerra, quella differente politica che Pietro Ingrao definì dell’«agire collettivo», ovvero una politica che miri ad incidere sulla trama dei poteri, mediante l’uso di strumenti idonei a far crescere il protagonismo di grandi masse49.
Il costituzionalismo democratico sociale dovrebbe sollecitare pertanto i movimenti che lottano per la pace e la giustizia sociale, a conoscere le potenzialità insite in un ordinamento costituzionale fondato sul principio della sovranità popolare, il quale persegue il fine di realizzare la crescita di una democrazia come forma di potere organizzato dal basso finalizzata a rendere i popoli effettivi soggetti del diritto e del proprio destino.
Lotta per la pace, lotta per la democrazia, lotta per la libertà, lotta per il socialismo50 e per la solidarietà sociale devono coniugarsi quindi in un’aspirazione ideale fondata sull’esigenza di sottrarre la vita delle classi alienate e sfruttate da una forma di potere fondata sul primato dell’ ”ordine pubblico” interno ed internazionale e non invece sul primato dell’ “autonomia sociale” che dovrebbe ispirare l’azione degli Stati e delle istituzioni sovranazionali ed internazionali che si riconoscono nei principi supremi della pace e della giustizia sociale fra le Nazioni ed entro le Nazioni.
L’obiettivo di queste lotte dev’essere quello di porre finalmente i governi al servizio della società e di liberare i parlamenti dai vincoli posti dagli esecutivi che gli impediscono di esprimere la voce effettiva di larghe masse del popolo.
1 Cfr. G. Azzariti, La Costituzione rimossa, in Costituzionalismo.it, fasc. 1/2022, p. I; C. De Fiores, Il principio rimosso, in il manifesto, 18/3/2022.
2 Cfr. l’informativa e le comunicazioni sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina rese dal Presidente del Consiglio alle Camere, rispettivamente, il 25 febbraio ed il 1 ° marzo del 2022.
3 Sulle risoluzioni approvate dalla Camera e dal Senato con il consenso della maggio- ranza e di larga parte dell’opposizione, cfr. AP Camera, XVIII legisl., sed. del 1. 3. 2022, ris. n. 6-00207 e AP Senato XVIII legisl., sed. del 1.3.2022, ris. n. 6-00208.
4 Cfr. M. Benvenuti, Le conseguenze costituzionali della guerra russo-ucraina. Prime considerazioni, in Oss. cost., fasc. 3/2022, p. 22.
5 Cfr. Decreto-Legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito con mod. dalla L. 5 aprile 2022, n. 28, concernente: Disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina, in G.U. 13/04/2022, n. 87 e Decreto-Legge 28 febbraio 2022, n. 16, concernente: Ulteriori misure urgenti per la crisi in Ucraina, in G. U., 28 febbraio 2022, n. 49. M. Villone, I dubbi sulle armi italiane all’Ucraina, in il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2022, osserva come mentre il D. L. n. 14 faceva riferimento alla cessione di «mezzi e materiali di equipaggiamento militari non letali di protezione» (art. 2), ovvero di «giubbotti e elmetti in kevlar, metal detector portatili, robot per lo sminamento», il D. L. n. 16 si riferisce invece alla cessione di «mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari» (art. 1), ovvero di «missili antiaerei e controcarro, mitragliatrici, munizioni e mine anticarro».
6 Cfr. art. 1, D. L. n. 16/2022.
7 Il co. 1 dell’art. 1 della L. 9 luglio 1990, n. 185 concernente: «Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento», dispone che «l’esportazione, l’importazione e il transito di materiale di armamento […] devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia» e che «tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Il co. 2 prescrive che «l’esportazione, l’importazione e il transito dei materiali di armamento […] sono soggetti ad autorizzazioni e controlli dello Stato». Il co. 6, lett. a), stabilisce che: «l’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono […] vietati […] verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere». L’art. 51 dello Statuto ONU riconosce infatti «il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite», ma solo «fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale». Nel caso della guerra russo-ucraina tali presupposti non sussistono, poiché l’azione del Consiglio di Sicurezza è impedita dal potere di veto della Russia e perché lo Stato Ucraino non è membro né della NATO, né dell’UE. Per tali ragioni il Governo ha deciso di derogare, mediante l’adozione dei due Decreti-Legge (n. 14 e n. 16), ai vincoli ed ai limiti prescritti dalla L. n. 185/1990. I sostenitori della legittimità dell’invio delle armi ritengono tuttavia inutile tale deroga introdotta dai due D. L. alle prescrizioni della L. n. 185/90, poiché reputano che tale invio fosse consentito dall’art. 1, co. 6, lett. a) della L. 185/1999 che riferendosi al «rispetto degli obblighi in- ternazionali», esclude dal divieto di fornitura di armi, il caso in cui essa sia finalizzata a sostenere gli Stati “aggrediti” ai sensi dell’art. 51 della Carta ONU. Essi paiono comunque trascurare che «il diritto naturale di autotutela individuale e collettivo» previsto dall’ art. 51, possa essere esercitato solo «fintantoché il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per garantire la pace e la sicurezza internazionale». Nel caso della guerra in Ucraina tali presupposti tuttavia, come s’è detto, non sussistono per le ragioni sopra esposte. Sugli indirizzi dottrinali che ritengono legittimo l’invio di armi allo Stato Ucraino, cfr. M. Benvenuti, Le conseguenze costituzionali, cit., pp. 11, 12. C. De Fiores, Con l’invio di armi l’Italia è intervenuta in uno scenario di guerra, in Il Fatto Quotidiano, 30 aprile 2022, pone in evidenza invece come l’uso delle armi nelle sue varie modalità, sia consentito dalle norme del diritto convenzionale, ma esclusivamente nei casi da esso previsti, ovvero «in situazioni di extrema ratio da valutarsi nell’ambito del rapporto di
mutua assistenza tra i paesi alleati (Nato) e sotto la vigilanza dell’ONU», come stabili- sce, appunto, l’art. 51 dello St. ONU e l’art. 7 del Trattato Nato, secondo cui «il […] Trattato non pregiudica e non dovrà essere considerato in alcun modo lesivo dei diritti e degli obblighi derivanti dallo Statuto alle parti che sono membri delle Nazioni Unite o della responsabilità primaria del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali». C. Fioravanti, La Carta delle Nazioni Unite e il Trattato Nato, in http://www.studiperlapace.it, 12 maggio 1999, pp 3, 7, osserva infatti come l’art. 7 del Trattato Nato sancisca la prevalenza dello Statuto ONU sul Trattato NATO, poiché quest’ultimo contiene «una clausola di compatibilità rispetto agli obblighi derivanti dalla Carta ONU» ed attribuisce un ruolo primario al Consiglio di Sicurezza considerato come «responsabile principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale». Il meccanismo di difesa previsto dall’art. 5 del Trattato Nato può operare, pertanto, solo sino al momento in cui non intervenga il sistema di sicurezza collettiva predisposto dallo St. dell’ONU. Il «coordinamento ONU-Nato» risulta dunque essenziale, come si evince dalla volontà più volte manifestata dalla Nato di porsi come «braccio operativo dell’ONU». Nella Dichiarazione adottata nel Summit di Washington dell’aprile 1999, si afferma infatti che gli Stati membri della NATO sono vincolati allo Statuto dell’ONU e si ribadisce la prioritaria responsabilità del Consiglio di Sicurezza nell’azione di «mantenimento della pace e della stabilità internazionale», nonché l’impegno della Nato di operare sotto l’autorità del Consiglio di Sicurezza.
8 Cfr. artt. 1 e 2, L. n. 185/1990 e artt. 310 e 311 Decr. Legisl. 15 marzo 2010 n. 66 concernente: Codice dell’ordinamento militare, in G. U., 8 maggio 2010, n. 106.
9 Nel Preambolo del DL n. 14/2022, si ritiene sussistente «la straordinaria neces- sità e urgenza di emanare disposizioni in deroga alla L. 21 luglio 2016, n. 145, per disciplinare la cessione di mezzi e materiali di equipaggiamento militari alle Autorità governative dell’Ucraina. L’art. 2 dello stesso D.L. dispone di conseguenza che: «E’ autorizzata, per l’anno 2022, la spesa di euro 12. 000. 000 per la cessione, a titolo gratuito, di mezzi e materiali di equipaggiamento militari non letali di protezione, alle autorità governative dell’Ucraina». L’art. 1 del D. L. n. 16/2022, dispone inoltre che: «Fino al 31 dicembre 2022 […] è autorizzata la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina, in deroga alle disposizioni di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185 e agli articoli 310 e 311 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 e alle connesse disposizioni».
10 Cfr. L. 21 luglio 2016, n. 145, recante: Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali, in G. U. 1° agosto 2016, n. 178.
11 Cfr. M. Benvenuti, Le conseguenze costituzionali, cit., p. 21.
12 Cfr. C. De Fiores, L’Italia ripudia la guerra? La Costituzione di fronte al nuovo ordine globale, Ediesse, Roma, 2002, pp. 23, 24. Sul punto, cfr. P. Carnevale, Il ruolo del Parlamento e l’assetto dei rapporti tra Camere e Governo nella gestione dei conflitti armati. Riflessione alla luce della prassi seguita in occasione delle crisi internazionali del Golfo Persico, Kosovo e Afghanistan, in Aa, Vv, Guerra e Costituzione, a cura di P. Carnevale, Giappichelli, Torino, 2004, pp. 94 ss.
13 Cfr. art. 2, D. L. n. 14/2022 e art. 1 D. L. n. 16/2022.
14 Cfr. M. Benvenuti, Le conseguenze costituzionali, cit., p. 20. P. Carnevale, Il ruolo del Parlamento, cit., p. 89, osserva come si sia ormai affermata, tramite l’uso della de- cretazione d’urgenza, una «tendenza a riconoscere al Governo, nella conduzione della politica estera, quel potere di gestire ricorrendo […] alla creazione del fatto compiuto». Sulle rilevanti tensioni cui è stato sottoposto il sistema delle fonti nel corso della crisi pan- demica, cfr. G. Azzariti, L’eccezione e il sovrano. Quando l’emergenza diventa ordinaria amministrazione, in Costituzionalismo.it , 17 febbraio 2010. Sulla crisi come dispositivo ordinario di governo, sia consentito rinviare a G. Bucci, Le trasformazioni dello Stato e dell’UE nella crisi della globalizzazione, Editoriale Scientifica, Napoli, 2022, pp. 91 ss.
15 C. De Fiores, L’Italia ripudia la guerra?, cit., p. 23, pone in evidenza come, a partire dalla guerra del Golfo, il coinvolgimento del Parlamento nelle decisioni di politica militare, sia sempre avvenuto contestualmente (o ancora più spesso) successivamente (in 30 casi su 54) all’invio delle missioni e come lo strumento privilegiato dell’intervento normativo del Governo sia stato il decreto-legge (in 45 casi).
16 Cfr. art. 1 D. L. n. 16/2022.
17 Cfr. P. Caretti, G. Tarli Barbieri, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2017, p. 110, ove si sostiene come, ai sensi dell’art. 78 Cost., per il conferimento dei poteri necessari al Governo, si debba adottare «un atto legislativo secondo il modello della delegazione», anche se essa «non può essere ricondotta all’art. 76 della Costituzione, sia per l’ampiezza dell’oggetto, sia per la accentuata genericità dei principi e dei criteri direttivi (difficilmente prefigurabili in astratto), sia ancora per l’impossibile apposizione di un termine (che non può coincidere con la fine delle operazioni militari)».
18 Cfr. A. R. Rizzo, Uno stato di guerra atipico. Il sistema delle fonti e l’emergenza Ucraina, in http://www.judicium.it, 4 marzo 2022, p. 6, il quale sostiene che, in coerenza con l’impostazione della Costituzione, bisognerebbe «sostituire all’attuale binomio tra fon- te primaria sostanziale (decreto legge) e fonte secondaria (decreto interministeriale), il più intenso rapporto tra fonte primaria formale (legge parlamentare) e fonte primaria sostanziale (decreto legge)».
19 Cfr. C. De Fiores, L’Italia ripudia la guerra? cit., p. 25; V. Bachelet, Disciplina militare e ordinamento giuridico statale, [1962], in Id., Scritti giuridici, II, Giuffré, Milano, 1981, pp.354 ss. Sul tema cfr. anche P. Carnevale, Il ruolo del Parlamento, cit., pp. 97 ss.
20 M. Villone, I dubbi sulle armi, cit., osserva come mediante l’adozione dei due decreti legge (nn. 14 e 16 del 2022) si sia «di fatto» attribuito «ad alcuni ministeri» il potere «di decidere quando e quali armi mandare». D. Gallo, Non indossiamo l’elmetto, in Volerelaluna, 4 marzo 2022, p. 2, pone in evidenza come l’Italia «con l’invio di uno stock imprecisato e secretato di armamenti e di mezzi bellici», abbia abbandonato la neutralità prescritta dal regio decreto n. 1415 del 1938 (art. 8, All. B) e sia divenuta «un paese belligerante, sia pure per interposta persona». Si rileva, a tale proposito, come nella «rivista militare Analisi Difesa», sia stato scritto che: «le forniture di armi, ci rendono, a tutti gli effetti, “belligeranti” contro la Russia», trattandosi di «un atto di ostilità in senso tecnico, che come tale è stato percepito dalla Russia». Il Ministero degli Esteri russo ha dichiarato, infatti, che «coloro che sono coinvolti nella fornitura di armi letali alle forze armate ucraine, saranno considerati responsabili delle conseguenze di queste azioni».
21 Sul Fatto Quotidiano del 13 maggio 2022 (cfr. W. Marra, Altro che pace: è pronto il nuovo decreto per inviare armi pesanti) si legge che sta per essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, un terzo Decreto interministeriale che ha per oggetto l’invio di artiglieria pesante (obici, cannoni e blindati), la cui lista è stata nuovamente secretata. Il Presidente del Consiglio informerà il Parlamento, ma senza sottoporre l’informativa al voto delle Camere. L’adozione del provvedimento è stata sollecitata dagli USA e com- porterà un salto di qualità in relazione al tipo di armi da inviare.
22 P. Carnevale, Il ruolo del Parlamento, cit., pp. 96, 105-107, pone in evidenza come già nel caso delle guerre del Golfo Persico, del Kosovo e dell’Afghanistan, le previsioni dell’art. 78 Cost. non furono attuate. Si è assistito infatti a partire da quelle tragiche vicende belliche ad «un trend di progressiva deminutio […] della preoccupazione circa i problemi di compatibilità costituzionale […] sia sotto il profilo formale-procedimentale che sostanziale, dell’intervento militare», ovvero ad un «processo di “decostituzionalizzazione” delle regulae poste dagli artt. 10, 11, 78 ed 87 Cost».
23 G. Azzariti nell’intervento al Seminario promosso dalla rivista Costituzionalismo. it sul tema: Il costituzionalismo democratico moderno può sopravvivere alla guerra? (Università di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Giurisprudenza, 1° aprile 2022), ha osservato come «la pur netta distinzione tra “guerra dichiarata” e “guerra non dichiarata” delineata dalla Costituzione, sia divenuta confusa e fragile» e come pertanto «il momento dichiarativo ormai non sussista più, nel senso che la procedura costituzionale di formalizzazione e quindi di controllo della guerra non appare più nell’ordine delle cose».
24 Cfr. P. Carnevale, Il ruolo del Parlamento, cit., p. 121. Sull’elusione delle procedure parlamentari previste dall’art. 78 Cost. come «rimozione giuridica e simbolica dell’istituto dello “stato di guerra” volta a suggellare la definitiva marginalizzazione del Parlamento nella determinazione delle politiche militari […], a vantaggio dell’esecutivo chiamato a svolgere in tali materie tutte le funzioni di indirizzo politico, i poteri di iniziativa e le attività di amministrazione ed esecuzione», cfr. C. De Fiores, L’Italia ripudia la guerra?, cit., pp. 22 ss.
25 Cfr. la Risoluzione parlamentare del 22 aprile 2022 che approva il Documento di Economia e Finanza 2022, il quale aggiorna gli obiettivi di finanza pubblica e quindi il piano di rientro del saldo strutturale verso l’Obiettivo di Medio Termine (OMT), alla luce del mutato contesto macroeconomico contrassegnato dal peggioramento della situazione provocato da vari fattori, tra cui l’invasione dell’Ucraina da parte della Fe- derazione Russa. Sulle conseguenze economiche della guerra in Ucraina, cfr. G. Forges Davanzati, Le conseguenze economiche della guerra, in Su la testa online, n. 9/2022; S, Cesaratto, Le conseguenze sociali dell’economia di guerra in Europa, in Fuori collana, n. 2/2022; L. Pandolfi, Verso un’economia di guerra, in Volerelaluna, 15 aprile 2022. Gli economisti prevedono uno scenario caratterizzato dalla stagflazione, ovvero da un’elevata inflazione che coesiste con una elevata disoccupazione.
26 Cfr, l’intervista di A. Nocioni a G, Azzariti intitolata, Amato sbaglia, non possiamo inviare armi all’Ucraina, in il Riformista, 9 aprile 2022, il quale specifica come il procedimento disciplinato dall’art. 78 Cost. che prevede la deliberazione dello stato di guerra ed il conferimento dei poteri necessari al Governo, costituisca «uno strumento di garanzia costituzionale utilizzabile solo nell’ipotesi di una guerra di legittima difesa del nostro territorio», poiché non esiste alcuna disposizione costituzionale che «obblighi alla difesa di patrie altrui». Si osserva, del resto, che nel 1948 i Costituenti presero in considerazione solo le «guerre di difesa» dalle «aggressioni» al nostro territorio e non già «le guerre per conto terzi». A. Algostino, Pacifismo e movimenti fra militarizzazione della democrazia e Costituzione, in questo volume, sostiene che gli artt. 52, 78 ed 87 Cost. siano applicabili solo «nell’ambito dei confini delineati dall’art. 11, ovvero nell’ipotesi della guerra di legittima difesa».
27 Cfr. G. Azzariti, La Costituzione rimossa, cit., p. I.
28 Cfr. l’intervento tenuto da C. De Fiores al Seminario promosso dalla rivista Costituzionalismo.it sul tema: Il costituzionalismo democratico moderno può sopravvivere alla guerra?, cit. L. Carlassare, Incostituzionale l’invio di armamenti e gli italiani non favorevoli all’intervento, in il Fatto Quotidiano, 28 aprile 2022, osserva come i giuristi che giustificano la guerra abbiano tentato di legittimare la partecipazione dell’Italia ai vari interventi armati travestiti da «missioni di pace», facendo riferimento agli obblighi derivanti dall’adesione alle «organizzazioni internazionali» ed alle connesse limitazioni. Essi hanno cioè utilizzato la seconda parte dell’art. 11 Cost. contro la prima. A fronte di tali artifici interpretativi, si fa tuttavia rilevare come l’art. 11 Cost. costituisca «una disposizione unitaria, che dev’essere letta nella sua unità», specificando come siano «i Trattati ad essere subordinati all’art. 11 e non viceversa». Si richiama, a tale proposito, la sentenza n. 300/1984 della Corte Costituzionale, la quale ha chiarito che le «limitazioni di sovranità» previste dall’art. 11 sono finalizzate esclusivamente al raggiungimento de- gli obiettivi prioritari della pace e della giustizia fra le Nazioni. I Trattati devono essere quindi compatibili con le condizioni e con le finalità stabilite dall’art. 11 a pena di non poter ricevere esecuzione. Ciò premesso si specifica come «il ripudio della guerra non vieti solo la partecipazione a conflitti armati, ma anche l’aiuto ai Paesi in guerra». Per un analogo orientamento interpretativo, cfr. C. De Fiores, L’Italia ripudia la guerra? cit., pp. 26, 27, il quale critica quell’interpretazione «avallata in questi anni da buona parte della dottrina italiana che, seppur in presenza di determinate condizioni (la violazione dei diritti umani), ammette […] l’uso della forza, individuandone il relativo fondamento costituzionale in quella parte dell’art. 11 che prevede la partecipazione dell’Italia a organizzazioni internazionali finalizzate alla protezione della pace e della giustizia». L’Autore non condivide tale interpretazione, poiché ritiene che l’art. 11 della Cost. sia costituito da «un unico comma», sicché «anche il suo significato sul piano ermeneutico, non può che essere unitario e nelle sue intrinseche formulazioni, inscindibile, […] non solo per ragioni giuridico formali (l’unicità del comma appunto) o sintattiche (i tre periodi non sono mai disgiunti da un punto), ma innanzitutto perché questo articolo esprime compiutamente un discorso unitario attraverso proposizioni strettamente collegate che non possono esse- re vivisezionate e scomposte a piacimento dei governi».
29 Cfr. D. Gallo, Ahi serva Italia, di dolore ostello, in Volerelaluna, 1 aprile 2022.
30 Cfr. Ibidem
31 Cfr. G. Azzariti, La Costituzione rimossa, cit., p. II. G. Ferrara, Ripudio della guerra, rapporti internazionali dell’Italia e responsabilità del Presidente della Repubblica. Appunti, in Costituzionalismo. it, fasc. n. 1/2003, pp. 2, 3, osserva come «lo Statuto delle Nazioni Unite precluda con divieto assoluto, generale, ineludibile ed inderogabile, la guerra come tale, comunque la si chiami». Ciò che esso «condanna» è infatti «proprio l’azione militare che integri o corrisponda, anche solo in parte, ad una guerra».
32 Cfr. C. De Fiores, L’Italia ripudia la guerra? cit., p. 27.
33 Cfr. D. Gallo, Ahi serva Italia, di dolore ostello, cit. Sul tema cfr. S. Flamigni, Delitto Moro: la grande menzogna, Kaos edizioni, Milano, 2019; Id., Trame atlantiche, Kaos edizioni, Milano, 1996.
34 Sulle «nuove guerre da globalizzazione, figlie dei processi di internazionalizzazione e privatizzazione che sconvolgono il globo», cfr. I. Mortellaro, I signori della guerra. La Nato verso il XXI secolo, manifestolibri, Roma, 1999, pp. 22 ss. Sul tema cfr. anche R. Caillois, La vertigine della guerra, Edizioni Lavoro, Roma, 1990; G. Brunelli, C. Fioravanti, K. Stern, Il controllo democratico sugli impegni internazionali, a cura di G. Battaglini, L. Carlassare, Cedam, Padova, 1997; N. Ronzitti, Diritto internazionale dei conflitti armati, Giappichelli, Torino, 1998; Aa. Vv., Guerra. Individuo, a cura di G. Cotturri, Franco Angeli Milano, 1999; Sbancor, Diario di guerra. Critica della guerra umanitaria, Derive Approdi, Roma, 1999; D. Zolo, I signori della pace. Una critica al globalismo giuridico, Carocci, Roma, 1998; Id., Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine globale, Einaudi, Torino, 2000; C. Galli, La guerra globale, Laterza, Roma-Bari, 2002; A. Asor Rosa, La guerra. Sulle forme attuali della convivenza umana, Einaudi, Torino, 2002; M. Augé, Diario di guerra, Bollati Boringhieri, Torino, 2002; G. Chiesa, La guerra infinita, Feltrinelli, Milano, 2002; Id. La guerra come menzogna, nottetempo, Roma, 2003; Aa. Vv., Not in my name, a cura di L. Bimbi, Editori Riuniti, Roma, 2003; A, Dal Lago, Polizia globale. Guerra e conflitti dopo l’11 Settembre, ombre corte, Verona, 2003; N. Chomsky, Dal Vietnam all’Iraq, manifestolibri, Roma, 2003; Id., Dopo l’11 Settembre. Potere e terrore, Marco Tropea Editore, Milano, 2003; Aa. Vv.,Guerre globali. Capire i conflitti del XXI secolo, a cura di Angelo d’Orsi, Carocci, Roma, 2003; P. Ingrao, La guerra sospesa. I nuovi connubi tra politica e armi, Dedalo, Bari, 2003; F. Vander, Kant, Schmitt e la guerra preventiva. Diritto e politica nell’epoca del conflitto globale, manifestolibri, Roma, 2004; G, De Vergottini, Guerra e Costituzione. Nuovi conflitti e sfide alla democrazia, il Mulino, Bologna, 2004: U. Villani, L’ONU e la crisi del Golfo, Cacucci, Bari, 2005; D. Harvey, La guerra perpetua. Analisi del nuovo imperialismo, il Saggiatore, Milano, 2006; P. Moreau Défarges, Legittime interferenze. Il diritto di ingerenza dopo il 2001, Bruno Mondadori, Milano, 2006; L, Canfora, Esportare la libertà. Il mito che ha fal- lito, Mondadori, Milano, 2007; D. Losurdo, Il linguaggio dell’Impero. Lessico dell’ideologia americana, Laterza, Roma-Bari, 2007; E. J. Hobsbawm, Imperialismi, Rizzoli, Milano, 2007; I. Wallerstein, La retorica del potere. Critica dell’universalismo europeo, Fazi Editore, Roma, 2007; A. Dal Lago, Carnefici e spettatori. La nostra indifferenza verso la crudeltà, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012; D. Di Cesare, Il complotto del potere, Einaudi, Torino, 2022; T. Montanari, Eclissi della Costituzione, Chiarelettere, Milano, 2022.
35 Cfr. A. Algostino, Con l’invio di armi l’Italia partecipa alla guerra, il manifesto, 9 marzo 2022.
36 G. Azzariti nell’intervento al Seminario promosso dalla rivista Costituzionalismo.it sul tema: Il costituzionalismo democratico moderno può sopravvivere alla guerra? cit., ha richiamato come esempi di questo tipo di linguaggio le locuzioni peacebuilding, peacekeeping, peace enforcement e infine la formula polizia speciale coniata da Putin per mascherare la realtà della guerra. Sul punto, cfr. anche P. Carnevale, Il ruolo del Parlamento, cit., p. 80.
37 I. Mortellaro, I signori della guerra, cit., pp. 131 ss., osserva come nel vertice atlantico di Washington sia stata realizzata una «revisione delle strategie della NATO», ossia «un mutamento complessivo della sua organizzazione e dei suoi fini». Si decise infatti di passare da «un assetto schiettamente difensivo […] ad un’organizzazione multi-funzione» col fine di consentire la realizzazione di interventi «oltre i propri confini» nel caso di crisi che possono costituire una minaccia per «l’Occidente» e per la «stabilità internazionale». L’art. 1 del Trattato istitutivo della Nato (1949), aveva stabilito che le parti contraenti riaffermano «la loro fede negli scopi e nei principi della Carta delle Nazioni Unite e il loro desiderio di vivere in pace» (v. Preambolo) e si «impegnano […] a comporre con mezzi pacifici qualsiasi disputa internazionale nella quale potrebbero essere implicate» (art. 1), convenendo che «un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America del Nord, sarà considerato un attacco diretto contro tutte le parti» e che «se tale attacco dovesse verificarsi ognuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti attaccate» (art. 5). Il Trattato istitutivo stabilì quindi «chiari rapporti e gerarchie tra Onu e Nato». La trasformazione fu introdotta con i due documenti approvati nel vertice di Washington (An Alliance for the 21st Century e The Alliance Strategic Concept), con cui i Capi di Stato e di governo pur senza modificare il Trattato istitutivo, adottarono il «nuovo concetto strategico» che gli obbligava a «rafforzare la sicurezza e la stabilità dell’area euro-atlantica» e «ad esser pronti, caso per caso, a contribuire ad una effettiva prevenzione dei conflitti e ad impegnarsi attivamente nella gestione delle crisi». Questi documenti ribadirono che al «Consiglio di Sicurezza dell’Onu» spetta la responsabilità primaria di mantenere la pace e la sicurezza internazionale», ma una volta fatta questa premessa, il Consiglio di sicurezza non fu più richiamato in nessun altro passaggio. In tale contesto, i compiti propri della Nato furono tracciati sulla «nuova più ampia mappa di rischi» emergenti dal «mondo post-bipolare». Si affermò infatti che «la sicurezza degli Alleati dipende da una larga varietà di rischi, militari e non, multidirezionali e di difficile predizione» (art. 20 Strategic Concept), i quali includono «l’incertezza e l’instabilità nell’area euro-atlantica» e la possibilità di «crisi regionali alla periferia dell’alleanza» caratterizzate da «difficoltà sociali e politiche», da «rivalità etniche», da «dispute territoriali», dal «mancato riconoscimento dei diritti umani», dalla «dissoluzione di Stati», dalla «proliferazione di nuove armi di distruzione di massa e dall’«uso improprio delle nuove tecnologie». Una volta richiamato formalmente l’accordo per la difesa collettiva, si sta- bilì pertanto che l’«Alleanza deve tener conto di questo contesto globale» e che deve essere pronta a realizzare il «coordinamento degli sforzi comuni, incluse le risposte ai rischi di tale genere» (art. 24). In riferimento a tali risposte concrete, l’art. 31 precisa che «nel perseguimento della sua politica per preservare la pace, prevenire la guerra, rafforzare la sicurezza e la stabilità, la Nato farà del suo meglio, in cooperazione con altre organizzazioni, per prevenire il conflitto e, nei casi di crisi, per contribuire alla sua effettiva gestione, conformemente al diritto internazionale anche attraverso la possibilità di condurre delle operazioni in risposta a crisi non previste nell’articolo 5», ovvero non previste dal Trattato e dunque «fuori area». In altri articoli (41,43,47,54), si ribadisce la necessità di dover essere pronti «a condurre azioni di risposta alle crisi non-articolo 5», senza mai far riferimento ad alcuna forma di legittimazione superiore e senza che mai le decisioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu siano richiamate «come cornice obbligante delle proprie decisioni».
38 Cfr. I. Mortellaro, I signori della guerra, cit., p. 136, il quale riporta le motivazioni addotte dal Sottosegretario agli Esteri Umberto Ranieri, che dinanzi alla Commissione esteri del Senato sostenne che non essendo stati toccati i Trattati istitutivi e non essendosi fatto altro a Washington che aggiornare visioni generali della sicurezza collettiva senza alcuna modifica della postura difensiva dell’Alleanza, non esisteva alcun problema di ratifica e perciò di impegno istituzionalmente definito del Parlamento.
39 C. De Fiores, L’Italia ripudia la guerra? cit., pp. 53, 54, pone in evidenza come la NATO a partire dagli anni novanta del Novecento, abbia subito un radicale processo di «metamorfosi». Con i vertici di Londra del luglio 1990 e di Roma del novembre 1991, essa adottò infatti «un nuovo modello di difesa che riflette […] la tendenza dei Paesi economicamente più forti a chiudersi in sé stessi nella difesa manu militari dei propri privilegi». Una volta sgretolatasi «la configurazione bipolare del mondo, l’ordinamento internazionale viene […] rifondato sulle incalzanti pretese di dominio dell’Occidente e dei suoi interessi egemonici». La Nato «a partire da questa nuova visione del mondo globale, […] si converte […] ad un nuovo concetto strategico di difesa procedendo […] ad una sorta di novazione della sua struttura e delle sue stesse intrinseche finalità». Ma è nel vertice di Washington dell’aprile del 1999, che essa «rimodula ufficialmente il suo raggio d’azione» introducendo il concetto di «operazioni «non art. 5», liberandosi così dai vincoli previsti dal Patto del 1949 e in specie dalla prevista subordinazione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. I. Mortellaro, I signori della guerra, cit., pp. 19, 20, osserva come nel vertice di Washington, dopo la conclusione della guerra del Kosovo, si produsse «un mutamento strutturale di rapporti nell’arena internazionale con un’alterazione profondissima degli equilibri istituzionali e con una Nato diabolicamente trasformata nei principi costitutivi, nel raggio e negli strumenti d’azione». La «nuova Nato munita d’armi e poteri nuovissimi, costituisce il frutto di «un processo di produzione normativa e costituzionale che, ai nuovi livelli sovranazionali, procede ormai per partenogenesi istituzionale. Al chiuso di stanze e reticoli oligarchici, le nuove élites illuminate producono le costituzioni del mondo nuovo. L’eccezione, lo sbrego, la ridefinizione oligarchica delle sedi è la regola del nuovo dispotismo illuminato, che ha eletto, a suoi tratti distintivi, la rivisitazione e la ridefinizione continue d’ogni forma di sovranità democratica, la riproduzione allargata d’una strutturale frattura tra governanti e governati».
40 Queste considerazioni sono state svolte da C. De Fiores nella relazione tenuta al Seminario promosso dalla rivista Costituzionalismo.it sul tema: Il costituzionalismo democratico moderno può sopravvivere alla guerra?, cit.
41 A. Algostino, Pacifismo e movimenti, cit., sostiene come tale metamorfosi della Nato da alleanza difensiva ad attore di interventi militari preventivi “umanitari”, chiami in causa l’art.11 Cost., nel senso che – tracimando dai compiti di difesa – il ricorso alla forza da parte dell’Alleanza atlantica travalica i confini di questo articolo violandolo, con conseguente illegittimità dell’adesione della nostra Repubblica a tale organizzazione internazionale.
42 Cfr. C. De Fiores, L’Italia ripudia la guerra? cit., pp. 27, 28, il quale pone in evi- denza come i Costituenti nell’elaborazione dell’art. 11 Cost., vollero impiegare «parole il più possibile incisive, fino a preferire alla poco efficace formula “rinuncia”, il verbo “ripudia” proprio in considerazione del suo accento energico che implica così la condanna come la rinunzia alla guerra», come si evince dall’intervento dell’on. Meuccio Ruini (Atti dell’Assemblea Costituente, 24 Marzo 1947). G. Ferrara, Ripudio della guerra, cit., p. 1, osserva come l’art. 11 Cost. pur essendo una norma che enuncia il «ripudio della guerra» con «chiarezza» ed «icasticità espressiva e pur essendo stata collocata «tra i principi fondamentali della repubblica», susciti «mascherate, ma pervicaci e diffuse insofferenze collettive», proprio per il fatto di perseguire il fine di reprimere gli «istinti belluini che si aggregano nel fondo mortifero su cui poggia quel vetusto […] potere criminogeno denominato jus ad bellum». Si osserva tuttavia come il «significato di tale principio» e «la sua assolutezza», non siano stati scalfiti «da nessun atto legittimo, da nessuna rilettura credibile, da nessun intervento di autorità superiorem non recognoscens» e «tanto meno dalle mediocri escogitazioni dei sentenziosi iperrealisti che, vestendo […] la toga trafu- gata di maestri del giure naturale e positivo, di teoria e pratica politica, di etica pubblica e di chi sa quali altre scienze o arti, si affannano a svolgere una impresa tanto patetica quanto intollerabile […], quella di provare ad affievolire diritti, ad annacquare principi, a contenere pretese, a limitare obiettivi ed a moderare speranze, per dimostrarsi simili ai detentori del potere ed essere quindi giudicati maturi per esercitarlo allo stesso modo». Sulla coerenza interna, sulla struttura unitaria e sul carattere giuridicamente vincolante dell’art.11 Cost., cfr. L. Carlassare, L’art. 11 Cost. nella visione dei Costituenti, in Costi- tuzionalismo.it, fasc. n. 1/2013, pp. 8, 9, la quale pone in evidenza come tali caratteristi- che rendano inammissibili quelle soluzioni ermeneutiche riduttive volte a neutralizzare il valore del ripudio della guerra, che sono fondate sul presupposto erroneo che le sue proposizioni costituiscono parti distinte ed autonome tra loro. Sul principio pacifista, cfr. anche M. Benvenuti, Il principio del ripudio della guerra nell’ordinamento costituzionale italiano, Jovene, Napoli, 2010, pp. 29 ss.; L. Chieffi, Il valore costituzionale della pace tra decisioni dell’apparato e partecipazione popolare, Liguori, Napoli, 1990.
43 Cfr. C. De Fiores, L’Italia ripudia la guerra?, p. 28.
44 Sulla «questione centrale della pace sia per i significati generali che essa racchiude, sia per le connessioni che essa presenta in termini del tutto nuovi con i problemi relativi alla forma di governo ed alla natura del potere di decisione in materia di difesa», cfr. S. d’Albergo, Costituzione e organizzazione del potere nell’ordinamento italiano, Giappichelli, Torino, 1991, p. 183.
45 S. d’Albergo, Costituzione e organizzazione, cit., osserva come nella Costituzione di democrazia sociale, la questione della pace non sia espressiva di una cultura meramente pacifista, bensì di una concezione complessiva dei rapporti politici, economici e sociali nel cui ambito il potere militare – che costituiva la tipica forma dell’organizzazione dello Stato liberale e dello Stato fascista, – non viene più considerato solo come il supporto del vertice dello Stato. La concezione di una «democrazia popolare […] riassorbe infatti in sé ogni valore nei termini di una cultura che, respingendo l’autoritarismo, tende a legittimare l’apertura di una nuova fase nelle relazioni nazionali e internazionali». In tale ambito, «la libertà dei popoli e quella dei cittadini» sono considerate come «due facce di una medesima questione sociale», poiché la menzionata concezione lega strettamente tra loro «le esigenze di una democrazia che assume valore universale», poiché «identifica tutti i bisogni dei cittadini e dei lavoratori […] come protagonisti di un’organizzazione statale ed internazionale convergenti verso la predisposizione di un sistema normativo e quindi decisionale nel quale prevalga la volontà generale e non quella dei soggetti di apparato, soprattutto militare».
46 Sul diritto alla resistenza che rientra «nei poteri impliciti della sovranità popolare» e che «trova la sua legittimità nel fatto di rivolgersi all’attuazione di fini richiesti dalla Costituzione ed invece non perseguiti dagli organi legali cui tale compito sarebbe spettato», cfr. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, I, Cedam, Padova, 1991, p. 156 e Id., II, cit., p. 1038, ove si sostiene che il «riconoscimento» di tale diritto risulta «giustificato dalla necessità di vincere, attraverso l’azione diretta della base popolare, le remore occulte opposte dai detentori del potere economico a quei mutamenti pur richiesti dalla Costituzione». Sul tema, cfr. anche Id., Commento all’art. 1, in Commentario della Costituzione, Principi fondamentali, (artt. 1-12), a cura di G. Branca, Zanichelli, Bologna, 1975, p. 27.
47 Cfr. G. Azzariti, La Costituzione rimossa, cit., p. IV; Id., La proposta. Una conferenza internazionale per una soluzione di pace, in fuoricollana.it, maggio 2022.
48 Per una critica della diffusa «presunzione pregiudiziale ed assoluta» relativa all’«intangibilità degli atti del governo» esecutivi di «accordi internazionali con gli Stati Uniti», sia pur lesivi del principio fondamentale del «ripudio della guerra», cfr. G. Ferrara, Ripudio della guerra, cit., pp. 6, 7.
49 Cfr. M. L. Boccia, Pensare la guerra, lottare per la pace, in http://www.centroriformastato.it, 7 aprile 2022; P. Ingrao, La guerra sospesa, cit.
50 Sul rapporto tra il programma di trasformazione politico, economico e sociale recepito dalla Costituzione italiana ed il processo di transizione verso una società socialista, cfr. C. Lavagna, Costituzione e socialismo, il Mulino, Bologna, 1977, pp, 51 ss.; G. Ferrara, Costituzione e rivoluzione. Riflessioni sul Beruf del costituzionalista, in Costituzionalismo.it, fasc. 2/2010, p. 10.